31/08/2015

Aborto: storie di medici pentiti

Un medico che pratica l’aborto può decidere di lasciare quell’industria (fiorente).

Qui si raccontano tre storie di dottori che hanno avuto delle esperienze tali da far cambiar loro il modo di vedere l’aborto.

1) “E quando tirai  fuori la gabbia toracica, vidi un piccolo cuore che batteva”

Paul E. Jarrett Jr., era un convinto abortista fino ai primi anni ’70. Poi, nel 1974, accadde qualcosa che cambiò per sempre il suo modo di vedere l’aborto. Mentre stava facendo una “suzione abortiva” si accorse che c’erano dei problemi con l’estrazione del feto ed allora dovette smembrarlo con delle pinze apposite.

“E quando tirai  fuori la gabbia toracica, vidi un piccolo cuore che batteva. Quando estrassi la testa, vidi il volto di un umano, un umano che era appena stato ucciso: in quel momento capii che non avrei mai più preso parte ad un aborto”.

2) “Iniziai a sentirmi come un assassino a pagamento. Ed era ciò che ero”.

Il dottor Anthony Levantino cominciò a pensare a tutte le vite che aveva spezzato nella sua carriera di medico abortista quando sua moglie non riusciva più a rimanere incinta.

Lui faceva abortire, con ogni tecnica, circa dieci bambini a settimana, ma allora iniziò a pensare come sarebbe stato bello se avesse potuto portarne uno a casa.

Cercava infatti un bambino da adottare proprio mentre in contemporanea impediva decine di nascite. Questo iniziò a pesare sulla sua coscienza. Ma la svolta arrivò quando sua figlia, Heather, morì tragicamente investita da un’auto.

“No, non più, non avrei più spezzato la vita di nessun bambino non ancora nato: quando perdi qualcuno prezioso per te, come è stato per me con mia figlia, inizi a pensare che anche quelle creature appartengono a qualcuno, stavo uccidendo i figli di qualcuno. Iniziavo a sentirmi come un assassino a pagamento. Ed era ciò che ero. Per questo ho smesso”.
Bludental

3) “A volte i bambini erano vivi quando li tiravamo fuori...e li lasciavamo semplicemente morire”.

Quando Noreen Johnson e suo marito si trasferirono da Los Angeles alla città di Bryan-College Station, in  Texas, la Johnson si trovò in un ambiente pro life, dove i medici abortisti venivano considerati negativamente dai colleghi. Questo ebbe un grandissimo impatto su di lei. Cominciò a riflettere sul senso del lavoro del medico. e si rese conto che la maggior parte dei suoi colleghi abortisti, in effetti, faceva di tutto per tacitare la coscienza. Molti per riuscirci si davano all’alcol o alla droga o a una vita “sfrenata”.

Queste sono solo alcune delle testimonianze dei molti medici coraggiosi che ogni giorno decidono di rispondere alla propria etica andando contro il guadagno e la facile carriera, salvando così molte vite umane.  È bene ricordare che la medicina esiste per far sì che la vita di un essere umano sia il più lunga e prosperosa possibile, non per interromperla ancor prima che un bambino nasca, e questi dottori ne sono la testimonianza vivente.

L.T.

FONTE: LifeSiteNews

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