23/12/2015

Aborto: voltare le spalle alla morte è possibile!

Abbiamo un immenso potenziale per annientare la piaga dell’aborto, ma – forse – non ce ne rendiamo nemmeno conto“.

Potrebbe essere questo il sunto della battaglia portata avanti del gruppo pro-life americano ATTWN negli ultimi quattro anni, e che è stata presentata sul portale web di LifeSiteNews.

I numeri parlano chiaro: 197 dipendenti delle cliniche abortiste Planned Parenthood contattati dall’associazione hanno voltato le spalle all’aborto e hanno lasciato il lavoro.

Tutto è nato dal contatto diretto che i volontari pro-life hanno cercato con i dipendenti dinnanzi alle cliniche, iniziativa che ha fatto andare su tutte le furie i dirigenti della Planned Parenthood, fino a portarli a fare una mossa molto avventata: hanno intimato gli operatori del settore a non mettersi in alcun modo in contatto con gli attivisti di ATTWN. Come spesso accade, tuttavia, il risultato sortito è stato opposto rispetto a quello desiderato.

Abbiamo scoperto che la maggior parte dei lavoratori che si mettono in contatto con noi“, dichiarano dall’Associazione, “lo fanno dopo aver vissuto un momento particolare nella loro vita. Può essere un’esperienza strettamente personale, come la nascita di un figlio o dopo aver subito un aborto spontaneo, ma più spesso la scintilla parte dall’aver partecipato ad un aborto ed aver visto il bimbo ucciso“.

Questo manipolo di persone, la cui somma viene stimata attorno al 6% dell’intero corpo dipendenti, ha il potere di trasformare l’intera industria dell’aborto, per cercare di annientarla.

Basta pensare a quanto accade con le lobby gay. Nemmeno il 3% della popolazione è omosessuale; tuttavia è sotto gli occhi di tutti cosa sono riusciti ad ottenere. Ogni lavoratore che si converte è un’increspatura del fronte della morte e potenzialmente in grado di rovesciarne le sorti“.

L’Associazione promuove anche percorsi per la ricerca di una nuova occupazione per le persone che hanno deciso di lasciare l’industria dell’aborto, cercando di reinserirli nel settore sanitario, quando non addirittura in cliniche gestite direttamente da gruppi pro-life.

Rosanna Lucca

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