18/01/2016

Adozioni gay: i lombi, la testa e i bambini

E la pancia non c’è più“, cantava felice l’attore Mimmo Craig nello storico Carosello dell’olio dietetico. Oggi non è quella di adipe la pancia che si vuole fare sparire, ma quella gravidica. O, almeno, questo sarà uno degli effetti cui porteranno le adozioni gay.

Un bimbo si concepisce nella testa, non nella pancia“, twittava in estate Giuseppina La Delfa, presidente delle famiglie arcobaleno, magnificando il contributo innovativo della procreazione medicalmente assistita (alias fecondazione artificiale) alla generazione dei figli. Poiché la testa è patrimonio comune ai due sessi, la frase vorrebbe dimostrare l’irrilevanza della complementarietà sessuale nella genitorialità.

Qui diventa evidente come da parte dei paladini gay il vizietto di assumere una prospettiva unidirezionale sia una caratteristica apparentemente insopprimibile. Escluso il fatto che dal picchiarsi la testa l’un contro l’altra due donne (o due uomini) possano concepire un nuovo essere umano, escluso anche che dall’unione di due neuroni si formi uno zigote, non resta che ripiegare sul fatto che la frase voglia significare che il figlio venga concepito dalla semplice volontà degli adulti. La realtà mostra chiaramente quanto questo sia falso. Negli Stati Uniti il 50% delle gravidanze sono non intenzionali e nella Francia, esempio perfetto di pianificazione familiare contraccettiva, oltre 200.000 concepimenti ben vivi e vegeti che non erano nella testa vengono annualmente ammazzati prima di nascere nelle pance.

Lo sanno bene le coppie che soffrono d’infertilità quanto il loro figlio ben piantato nei loro desideri, nonostante ogni artificio riproduttivo, non si traduca mai in un bambino da tenere in braccio, ma solo in una ecatombe di speranze HCG positive e altrettante delusioni per morte embrionale. Lo sanno bene i genitori adottivi, i cui figli non solo sono stati concepiti ben prima che qualcosa facesse capolino nelle loro teste, ma talora purtroppo hanno dovuto affrontare esperienze drammatiche e tragiche.

adozioni-gay_sarà possibile dire mamma e papà_Foligno_AmatoDunque mi pare evidente che nella testa non si concepisca un bimbo, ma soltanto l’idea di averne uno. L’esperienza c’insegna che le idee possono essere di vario genere, ve ne sono di ottime e di pessime. Spero che nessuno si offenda se rivolgo una domanda: “Che razza di idea è quella di concepire un bambino escludendo il padre o la madre?“.

Una risposta quanto più completa esige l’assunzione della prospettiva di tutti i soggetti. Non è difficile immaginare che per tutti, a prescindere dal proprio orientamento sessuale, un figlio allieti la casa, che fornirgli le cure di cui ha bisogno sia un fattore promuovente l’unione della relazione, che sia il coronamento del profondo desiderio di affetto che alberga l’animo umano, così come dia una prospettiva futura alla vita capace di sottrarsi al “qui ed ora”.

Può tuttavia tutto questo essere raggiunto pianificando a tavolino una lacerazione biologica del figlio con uno dei genitori? Può avvenire sottraendogli ancora in maniera lucidamente programmata il bagaglio d’informazioni e di esperienze apportato dalla complementarietà sessuale delle figure parentali? Fin qui siamo ancora sul piano delle idee. Ma alcune coppie gay non si accontentano di rimanere sul piano dell’immaginazione, bensì passano all’azione e percorrono la strada delle adozioni gay. Attraverso un contratto stipulato con agenzie specializzate si procurano la componentistica mancante, così com’è stata definita dall’economista della Columbia University Debora Spar nel suo libro The baby business, o se vogliamo seguire la metafora di Mandy Storer, madre surrogata, acquistano gli “ingredienti” mancanti e “il forno” quando serve. Accade così che il bambino venga concepito e sia abbandonato per contratto prima della nascita da uno dei genitori biologici, che cresca nel ventre di una donna, ascoltando per settimane la sua voce ed il suo battito cardiaco, scambiando con lei cellule che rimarranno nel corpo di entrambi per tutta la vita, sentendo il sapore di ciò che lei mangia attraverso il liquido amniotico per subire il secondo abbandono contrattualizzato al momento della nascita. Quel bambino, magari coccolato, vezzeggiato ed esposto ai media come prova a discarico degli adulti, cresce in un ambiente dove giudici e politici hanno stabilito per lui l’irrilevanza di ricevere il contributo educativo maschile e femminile, sviluppando un orientamento non eterosessuale con probabilità da 2 a 5 volte maggiore, o subendo un rischio di abuso sessuale da parte dei custodi 10 volte più elevato rispetto ai coetanei cresciuti dai genitori biologici (Social Science Research 2012; British Journal of Education, Society & Behavioural Science 2015).

Quell’essere umano avrà di certo soddisfatto il desiderio di felicità di due adulti, ma pagando sulla propria pelle il prezzo di essere ridotto prima ad idea disincarnata, poi a manufatto inanimato, il “bambolotto di plastica per la bambina” che Fabrice Hadjadj descrive nel suo Mistica della carne. È ancora il filosofo francese ad indicare come, con l’aborto, la pancia della donna da tabernacolo vivente sia deformata a camera mortuaria. Attraverso la gestazione per altri quello stesso tabernacolo viene affittato come una camera ad ore, in alcuni casi dotata dei comfort occidentali, altre volte testimone di totale indigenza, ma sempre impregnata del tanfo dello squallore morale che il denaro non riesce a coprire.

No, sono certo di essere stato concepito nell’unione carnale di mio padre con sua moglie, pressato da quella forza misteriosa che nella sua mente sussurrava: “Com’è bella questa tua donna” e lo spingeva ad uscire dai limiti imposti dalla sua testa. Questa certezza ha fatto bene a tutta la mia vita. Ho l’impressione che un intuito profondo sveli a ciascuno il desiderio di essere venuto al mondo nello stesso modo.

Renzo Puccetti

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