12/01/2016

Gravidanza: dalla paura della prematurità, alla gioia

La gravidanza è un momento particolare nella vita della donna. Lungi dall’essere una malattia, è tuttavia un momento delicato e impegnativo, che varia da mamma a mamma e da bambino a bambino. 

Pubblichiamo oggi la testimonianza di una mamma e della sua bambina, nata prematura al peso di soli 913 grammi, riportata su Thesocialmediamama.

Modena 10 Gennaio 2016

Ogni gravidanza è a sé...“. Quante volte ho sentito pronunciare questa frase dal 2012 ad oggi. Ed è una grande verità, che fai tua solo col trascorrere del tempo e delle esperienze.

Quando aspettavo il mio primo bimbo, Andrea, mi sentivo invincibile.

Totalmente inesperta e ignara di quello a cui sarei andata incontro, ho vissuto i miei nove mesi barcollando (eh sì, gli ultimi giorni proprio barcollando!) tra tutine e copertine azzurre, tra lenzuolini, piccoli pelouches, lavando e stirando vestitini per prepararmi a stravolgere la mia vita. Nel 2013 Andrea nasce, non propriamente nella maniera che sognavo, ma va tutto bene e io me ne torno a casa col mio bel sorriso sulla pancia, pronta a iniziare questa meravigliosa avventura: l’essere madre.

Nel 2014 resto nuovamente incinta, e ancora sorrido ripensando alle parole: “Qui abbiamo una femminuccia!“. Non avrei potuto desiderare altro. Due figli, un maschio e una femmina, due anni di differenza – Ma non mi sentivo per nulla invincibile, questa volta – Ed ecco ritornare la frase: “Ogni gravidanza è a sé”, soprattutto quando ti tocca da vicino in prima persona.

La nausea, il vomito, il reflusso e una pressione un po’ troppo “border line” non mi consentivano di vivere questa gravidanza come avevo desiderato. Lo stress… Sempre tanto stress… La pressione che dalla mattina alla sera mi faceva correre in ospedale, ma comunque troppo instabile per poter far prendere in considerazione ai medici l’ipotesi da darmi qualche farmaco.

Invincibile questa volta non lo ero, ma con una voglia incredibile di vedere la mia bambina.

Ricordo che programmavo… Nella mia testa programmavo costantemente. Certo, la prima volta che diventi mamma sei come un avventuriera che si tuffa a capofitto in un mondo sconosciuto! La seconda volta, sei sempre un avventuriera, ovvio, ma che parte con una bussola e una mappa perché sa esattamente dove vuole andare. Ma il destino è beffardo, burlone, e non lo puoi controllare! E così, improvvisamente, la tua avventura prende una piega inaspettata.

Quel mercoledì pomeriggio di marzo 2015, il 18 per l’esattezza, il mio mondo, la mia vita ha una brusca virata. Durante la morfologica, alla 31ª settimana di gravidanza, mi dicono che la mia piccola Emma è troppo piccola. Ha smesso di crescere. E se non nasce nelle successive 48 ore potrebbe non farcela. Il mio tutto si ferma… Io mi fermo. Smetto di respirare… Smetto di pensare… Smetto di connettere… Sento solo il medico che parla, parla, parla… Ma cosa mi disse, non lo ricordo.

Grazie a Dio non ero sola, c’era il mio papà con me. Mio marito era via per un lavoro importante e non poteva essere presente… da notare, che per questo volevo rimandare la visita. Per fortuna non l’ho fatto.

gravidanza_vita_aborto_Xavier Dor_scarpine neonato_gender_pro vitaMa torniamo a me, pietrificata come una statua, nello studio del Professor Mazza, che generalmente non parla mai, ma quel giorno parlava pure troppo. “Serena”, mi disse, “devi andare immediatamente in ospedale, perché non abbiamo più tempo”. Il viaggio in ospedale me lo ricordo. Guidava il mio papà. Ero spaventata ma tranquilla... D’altronde, quando si è col proprio papà è come essere col proprio super eroe personale… Quello che ti accompagna nei momenti belli e in quelli brutti. E questo era decisamente brutto.

Arrivo in ospedale al Policlinico di Modena, completamente frastornata e in uno stato pietoso. “Dobbiamo iniziare la terapia polmonare a base di cortisone, per poter permettere a questa piccolina di respirare da subito”. Deve tenere botta almeno 48 ore perché le punture sono due e vanno fatte a 16 ore di distanza. La mia pressione sale e scende come un ascensore impazzito. Il pensiero di Andrea a casa che si è sentito dire, prima: “Ehi patato, mi raccomando, mamma torna presto… ubbidisci alla nonna!”… e poi: “Andrea , la mamma non torna per qualche giorno…”. Mi dilaniava il cuore! Arriva Luca, non parliamo, ci prendiamo per mano e scoppiamo a piangere. Resta un po’ con me, poi lo fanno uscire... Ed è lì che resto sola, con i miei pensieri... Con la rabbia, tanta rabbia, tanto male... Mi scoppiava il cuore! Scende la notte, una notte senza stelle, gelida e fredda. Era tanto che non pregavo, ma mi sono ritrovata a farlo.

E poi lo sfogo, sul gruppo delle mamme, allora eravamo “solo” poco più di quattromila, ma quelle mamme, come me, mai viste, mai conosciute, di cui ricordavo appena la foto del profilo o un post particolare, erano lì, come una gigantesca ancora di salvezza. E mi ci sono attaccata con forza. Ogni messaggio, ogni parola, erano come una calda coperta in quella notte fredda, dove scaldarmi e sapere che non eravamo sole io ed Emma.

Mi addormento all’alba, tra le lacrime. Credo di avere dormito non più di 40 minuti. Ho sognato mia nonna che non c’è più… Mi sorrideva. È stato bello. Ma il risveglio non è stato dei migliori….

La situazione era peggiorata... Stavolta ero io. La piccola si stava comportando bene… Reggeva le cure… Ma la mi pressione si stava alzando, troppo in fretta. Entra la mia ginecologa, mi sorride, mi accarezza... Senza parlare mi asciuga le lacrime e mi dice una parola sola: “Andiamo”. Mentre mi portano in sala operatoria, la situazione precipita ancora, la pressione sale ancora, e ancora, e ancora, superando i 190. 

Ho avuto paura di morire. Ho avuto così tanta paura di morire e di non poter vedere più Andrea e i suoi occhi, né di conoscere quel piccolo scricciolo che lottava dentro di me. Ho avuto paura di non poter più stringere le mani di Luca e di lasciarlo solo con due, forse, bambini. In sei minuti Emma è fuori. Piange prepotentemente, nonostante mi avvertirono che difficilmente avrebbe avuto la forza per farlo. Ma lei piange… La portano via e non la vedo.

Vado in camera, Luca è con me. Telefono a casa, voglio parlare con mio figlio – La risata di Andrea è un toccasana per la mia anima – Voglio alzarmi, ma quella maledetta anestesia non mi fa muovere le gambe.

Poi finalmente, alle 19 entro in quel mondo che mi cambierà la vita per sempre. Il mondo dei bimbi prematuri ti entra dentro per non abbandonarti mai più. La mia piccolina era ancora più piccolina di quello che avevano preventivato. Il mio piccolo pacchetto scarso di zucchero, coi suoi 913 grammi si aggrappa alla vita! Leggera come una piuma ma forte come una tigre. Un piccolo corpicino pieno di tubi, sondini e flebo. Ma è forte la mia Emma. E io dovevo esserlo per lei. Così, piansi una sola volta.

Mi sfogai, e cominciai ad avventurarmi in questo mondo strano, e crudele a tratti, ma fatto di tanto, tantissimo amore. Quello che ti resta dentro, non lo si scorda mai più… I rumori delle incubatrici che suonano, l’odore del disinfettante per le mani, la paura mista ad eccitazione quando sta per arrivare il medico a dare notizie su come procedono le cose. Le chiacchiere al bar con le amiche vengono scalzate via da quelle fatte con le altre mamme nella tua stessa situazione mentre ti tiri il latte al suon del Medela Sinphony in stanza allattamento. Gli infermieri e le infermiere della Terapia intensiva neonatale hanno una parola di conforto per tutti, un sorriso, una carezza, un abbraccio...

Così le giornate passano velocissime. Mi sveglio al mattino, porto Andrea dai nonni, vado in ospedale, torno per pranzare con lui, lo coccolo e lo metto a letto, corro in ospedale di nuovo, rientro prima del risveglio di Andrea, perché voglio che siano i miei occhi quelli che incrociano i suoi appena sveglio… Aspetto Luca, andiamo in ospedale di nuovo, poi passiamo a prendere Andrea e torniamo a casa. Questo per un tempo indefinito.

La vita scorre così veloce da non trovare il tempo per potersi abbattere. La paura è un lusso che la prematurità non ti concede.

Ricordo che lessi un libro in quei giorni passati a vegliare la mia piccola guerriera: “L’arca di Nina”. Nina era una bimba nata prematura, come Emma. Mentre tutti i bimbi appena nascono hanno nelle loro culle, calde coperte dai colori gentili, carillon con musiche dolci e morbidi orsacchiotti, nelle incubatrici, le arche appunto, dei bimbi prematuri tutto questo non c’è…

Al posto delle coperte hanno un soffio di aria calda, al posto della musica hanno il suono fastidioso e penetrante degli allarmi delle incubatrici, e al posto dei morbidi pelouches hanno tanti tubicini… Ma quelle arche sono importantissime, perché hanno il compito di condurli verso un porto sicuro… Talvolta qualche arca è perduta per sempre. E la tristezza si respira per giorni… Altre volte sono giorni felici perché ogni bambino che lascia il reparto è un traguardo, un inno alla vita, alla gioia, all’amore.

Passano i giorni ed Emma diventa sempre più brava, non ha nulla, deve solo crescere, e a 1480 gr, esce dall’incubatrice per andare in termoculla. Che emozione! Finalmente con la tutina! Una tutina che risultava comunque enorme a lei e ai suoi 33 cm di lunghezza, ma comunque, una tutina! Emma prende peso e intorno al chilo e seicento grammi proviamo ad attaccarla al seno…. Sicuramente un emozione unica, se non fosse che ancora non ha la forza, si stanca e poi rifiuta il biberon…. Pazienza mi dico, è viva, è sana, evviva i biberon!

Poi finalmente, dopo trentasei giorni, arriva la telefonata: “Portate l’ovetto, Emma viene a casa!” Ecco, il significato della gioia, ora so qual è.

A questa bimba voglio dire grazie.

Grazie per avermi fatto coraggio, Emma, grazie per avermi fatto conoscere il significato della parla “perseveranza”, grazie per essere stata brava, e per esserlo ad oggi, grazie per avermi fatto conoscere un mondo che ti cambia le prospettive di vita, che mi ha reso una mamma migliore, che crede che il mondo possa, ancora, essere un posto migliore se noi nel nostro piccolo ci circondiamo di amore. Che l’amore, davvero tutto può... Perché quando sono per strada e vedo un fiore che nasce tra l’asfalto in lui vedo la tua forza, mia piccola grande e fortunata bambina. Ti amerò fino alla fine del mondo e anche di più.

Serena Nocetti

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