19/12/2014

Matrimonio gay: perché no, senza discriminare

Uno dei luoghi comuni più diffusi della propaganda LGBT – pro “ matrimonio gay ” – suona più o meno così:

“Le coppie omosessuali sono discriminate sotto il profilo sociale (non possono sposarsi), pur pagando le tasse come tutti gli altri cittadini non godono però degli stessi diritti: è quindi giusto concedere anche a loro il diritto di contrarre matrimonio”.

 Si sente dire che gli omosessuali sarebbero vittime di discriminazioni. Essi dovrebbero avere, come tutti gli altri, il diritto di sposarsi. Ma l’argomento del “matrimonio per tutti quelli che si amano” non ha fondamento: non è perché delle persone si amano che hanno sistematicamente il diritto di sposarsi, che siano ad orientamento sessuale normale o omosessuali. Per esempio, un uomo non può sposarsi con una donna già sposata, anche se si amano. Ugualmente, una donna non può sposarsi con due uomini per il solo fatto che li ama entrambi e che ciascuno di loro vuole essere suo marito. O ancora, un padre non può sposarsi con sua figlia anche se il loro amore è unicamente paterno e filiale o se sono maggiorenni e consenzienti. Se si ammette il “matrimonio per tutti” si dovranno poi ammettere – per non discriminare altri gruppi – forme di matrimonio insostenibili, ma logicamente coerenti dallo svincolo del legame unico e universale uomo-donna che fonda il matrimonio. Perché concedere il matrimonio a due persone dello stesso sesso e non a tre o quattro o più persone, per esempio? Se si decide che il matrimonio non è più l’unione fisica, morale e legale dell’uomo (marito) e della donna (moglie) in completa comunità di vita, al fine di fondare la famiglia e perpetuare la specie, allora perché non concederlo anche a fratelli e sorelle, padri e figli/e, madri e figli/e, tre uomini, cinque donne, otto zie, padri con nonni e nipoti, un’intera squadra di rugby, o a chiunque ne faccia richiesta?

Il fatto è che equiparare astrattamente realtà diverse è una pretesa illogica oltre che concretamente impossibile e alla fine immorale: sia da un punto di vista sociale che individuale. Uomini e donne sono fisiologicamente, psicologicamente diversi ma complementari, quindi una coppia uomo-donna è e sarà sempre ontologicamente – per sua natura  – diversa da una coppia omosessuale. La famiglia naturale maschio-femmina (m+f) è strutturalmente diversa da ogni altra modalità associativa omo-sessuale, cioè dello stesso-sesso (m+m), (f+f). Da questo principio evidente, che non ha bisogno di successive dimostrazioni, deriva che in nome dell’uguaglianza, della tolleranza, della lotta contro le discriminazioni e di tanti altri principi, non si può concedere diritto al matrimonio a tutti quelli che semplicemente “si amano”. Anche due fratelli o due amici “si amano”: ma sarebbe questa la cellula sociale che fonda la società umana e garantisce lo sviluppo dell’umanità? Se si risponde che questo è del tutto irrilevante, in quanto le persone possono tranquillamente nascere al di fuori del legame tra uomo e donna (che il matrimonio ha il compito di sancire e proteggere, di fronte alla società intera) e poi essere allevate in coppie omosessuali, allora si finisce con l’ammettere implicitamente che gli individui, le persone, possono essere fabbricati. E’ questo il punto: si sottende il passaggio dal concetto di generazione umana a quello di fabbricazione, senza nemmeno averne coscienza. Ma ciò che è fabbricato diventa per sua natura un oggetto da compravendita, analogo ad un qualsiasi oggetto materiale. Esattamente quanto avviene oggi con la pratica dell’utero in affitto, tanto per intenderci.

Il matrimonio non è pertanto riducibile a mero riconoscimento di un “amore”. Esso è invece l’istituzione che articola l’unione stabile e permanente dell’uomo e della donna e garantisce la successione delle generazioni. E’ questo il suo senso, questa la sua funzione: è l’istituzione di una famiglia, cioè di una cellula che crea una relazione di filiazione diretta tra i suoi membri. Il matrimonio è l’atto fondamentale nella costruzione e nella stabilità tanto degli individui quanto della società intera: snaturarlo comporta necessariamente un danno sia per gli individui singolarmente concepiti sia per la società nel suo complesso.

D’altra parte non si capisce la schizofrenia contemporanea per cui da una parte il matrimonio è giudicato come un’istituzione troppo rigida, sorpassata, come l’eredità assurda di una società medievale o tradizionale e comunque alienante, mentre dall’altra i sostenitori di questa visione del mondo alzano la voce e puntano i piedi per ottenere il matrimonio per tutti. Chiediamoci, per esempio: per quale ragione coloro, uomini e donne, che rifiutano il matrimonio e vi preferiscono l’unione libera, sfilano oggi a fianco dei militanti omosessualisti per sostenerli nella loro lotta per il matrimonio omosessuale? Che si abbia l’una o l’altra visione del mondo, si vede bene che ciò che si gioca dietro “il matrimonio per tutti”, è una sostituzione: un’istituzione caricata giuridicamente, culturalmente e simbolicamente di significato sarebbe così rimpiazzata da un oggetto giuridico asessuato, che mina i fondamenti dell’individuo e della famiglia. Logicamente insostenibile: una volta infatti che tutti potranno sposarsi con tutti, senza limitazioni per numero o genere sessuale, quale sarebbe il senso residuo del matrimonio? Tanto varrebbe abolirlo per tutti. Il fatto è che la perdita dell’identità sessuale che è alla base del matrimonio e ne regolamenta ontologicamente il significato non potrà che rendere gli individui (i cittadini) più facilmente manipolabili e ancora più dipendenti dal sistema e dai poteri forti, per lo più occulti, che soffocano la libertà autentica dell’uomo e della donna e quindi la loro libera realizzazione. Piallare le differenze, in nome di un’astratta idea di uguaglianza, altro non serve se a rendere più facile la manipolazione, costringendo tutti al “medesimo”, che secondo il filosofo Diego Fusaro è “il piano liscio del mercato”.

Bisogna poi aggiungere che trattare giuridicamente allo stesso modo realtà diverse non è solo ingiusto moralmente, ma anche dal punto di vista dell’equità sociale. Infatti, a numeratore fermo, se cresce il denominatore, decresce il valore della frazione. Se si ammette che il matrimonio tra uomo e donna ha una funzione specifica per la società e che garantisce protezione alle future generazioni, allora non ha poi senso cercare di indebolirlo socialmente. Per esempio riducendo ancora i sussidi sociali che già sono al minimo storico. Se con questa operazione di alchimia sociale tutti potranno sposarsi con tutti, è lecito infatti supporre che  avremo un vistoso aumento delle “famiglie”, variamente composte, che chiederanno aiuto allo Stato. Ma data la quantità N di risorse con cui lo Stato può aiutare le famiglie, se si amplia la platea di fruitori, cala il beneficio pro capite (N/10 > N/20, etc). Inoltre spiace dirlo, ma questa è l’Italia e il rischio abusi è alto, ci sono i falsi invalidi figuriamoci se mancheranno i falsi omosessuali. Il paese ha un grave problema demografico, deve aiutare le famiglie che possono fare molti figli, superfluo spiegare perché trattasi solo di coppie normali: non è discriminazione, è puro buonsenso.

 In conclusione, la pretesa del “matrimonio diritto per tutti” è solo uno slogan che nasconde un’assurdità logica, una distorsione antropologica, un’ingiustizia sociale, e infine un danno morale per ognuno. Siamo infatti tutti chiamati, nessuno escluso, a partecipare al bene collettivo e alla salvaguardia dell’umanità, regola etica categorica che il laicissimo filosofo Immanuel Kant ha ben sintetizzato in questo modo: “Agisci in modo da trattare l’umanità, tanto nella tua persona quanto nella persona di ogni altro, sempre nello stesso tempo come un fine, e mai unicamente come un mezzo”.

 Alessandro Benigni

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