07/01/2017

Vita: fare il bene fa bene a chi lo fa

In Romania i movimenti in favore e in difesa della vita stanno fiorendo. Un’esponente di “Studenti per la Vita” ci ha inviato un’intervista a padre Tanase, un sacerdote ortodosso, che ha fondato e dirige uno dei più grandi centri d’accoglienza per mamme e bambini dell’Europa orientale. Riportiamo l’intervista che ci ha rilasciato, ma avvisiamo i lettori: lui – ancora – ritiene che la donna sia “l’angelo del focolare”...

Nel 1990, Padre Nicolae Tanase, curato di Valea Plopului,un villaggio a circa 100 km a nord di Bucarest, in Romania, ha iniziato ad accogliere donne gravide in difficoltà e bambini indesiderati. Così ha cominciato una delle opere di accoglienza della Vita più grandi di tutta l’Europa orientale. Questo prete ortodosso, occhialuto e barbuto, predicava alle donne che non dovevano abortire e che l’aborto era male di fronte a Dio e agli uomini. Ben presto, però, si è trovato di fronte alla necessità di agire con i fatti: le parole delle prediche non bastavano. Oggi le case-famiglia di Valea Plopului, e il vicino villaggio di accoglienza Valea Screzii, accolgono bambini, anziani, vittime di violenza familiare, donne e persone cresciute negli orfanotrofi che non hanno potuto integrarsi nella società.
Una delle donne che mi ha colpito di più è arrivata qui dopo essere stata violentata, picchiata e lasciata incinta di un bambino, che lei ora alleva con tutto il cuore. Chiama Padre Tanase “Daddy”, un po’ imbarazzante per un prete serio che in estate porta i capelli intrecciati o a coda di cavallo [ma Manzoni direbbe: «Omnia munda mundis», N.d.T.]. Questa donna è il simbolo dei tanti drammi, delle tante e profonde sofferenze, che segnano le persone accolte da Padre Tanase. Ma è anche un emblema della grande e fiduciosa speranza che regna tra queste persone che la società non vuole più. Abbiamo chiesto come prima cosa a Padre Tanase di raccontarci come è cominciato tutto questo.

Dopo la caduta del comunismo, nel 1990, abbiamo scoperto che c’erano così tanti aborti che gli ospedali dovevano smaltire i corpicini nei crematori pubblici. Mi sono unito ad un’associazione pro-vita avviata dal compianto poeta e studioso Alexandru Ioan. Ogni settimana ci riunivamo per pregare sulla tomba di Constantin Brancoveanu, nella chiesa di Gheorghe Nou. Poi da lì ci recavamo nelle cliniche, dove cercavamo di convincere le donne a non abortire.
In un solo giorno abbiamo salvato 13 mamme e 13 bambini, con la promessa che ci saremmo presi cura di loro. Mi ci sono voluti due giorni e una notte per trovare le famiglie disposte ad accogliere i bambini nel mio villaggio. E da allora i bambini continuavano ad arrivare. Nel 1997, ne avevamo oltre ottanta: nel frattempo avevamo costruito le case per accoglierli.”

Perché ha scelto proprio la tomba del principe Constantin Brancoveanu, che è il patrono della vostra associazione?
È stata un’eccellente intuizione. Il nostro patrono spirituale, canonizzato (dalla chiesa ortodossa romena, N.d.T.) nel 1992, ha avuto 11 figli – quattro maschi e 7 femmine – e sotto il suo regno la Valacchia è fiorita. Nel 1714, fu decapitato a Costantinopoli, insieme a tutti i suoi quattro figli e uno dei suoi generi, per essersi rifiutato di convertirsi all’Islam.

Quanti bambini sono ora nelle case-famiglia di Valea Plopului e Valea Screzii?
Ora abbiamo il più alto numero di persone che siano mai state assistite nella storia di questo posto: 417, di cui 22 anziani e 26 madri con vari problemi di salute, anche mentale, ma che non hanno ucciso i loro figli. In totale, abbiamo assistito oltre 3.500 bambini che successivamente sono stati restituiti alle loro famiglie: a uno dei loro genitori o ai nonni. Abbiamo anche ospitato i bambini di strada, giovani donne cresciute negli orfanotrofi di Ceausescu [i lettori forse non sanno che erano veri e propri lager, dove i bambini vivevano in condizioni disumane. Quando sono stati chiusi, però, i piccoli senza famiglia sono finiti a cercare riparo nelle fogne, N.d.T.].

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È una sfida gestire tutto questo. Come si fa a trovare le risorse?
Nel momento in cui abbiamo iniziato, l’urgenza era tale che non ci siamo seduti a fare conti. Purtroppo, lo Stato non fornisce alcuna risorsa. Molti Rumeni aiutano, di solito con pochi soldi, proporzionati alle loro possibilità economiche. La situazione economica della Romania non è così prospera, e noi abbiamo bisogno di 1.100 pagnotte di pane al giorno: per grazia di Dio riceviamo sponsorizzazioni e donazioni anche dall’estero, anche in natura. Se riceviamo donazioni di cibo, possiamo usare il denaro per materiali da costruzione.

Quali difficoltà ha dovuto affrontare?
I momenti più difficili sono quando siamo costretti a vivere in poco spazio: continuiamo tuttora a costruire case. Abbiamo anche avuto a che fare con le indagini delle autorità locali: non capivano che c’era una grande differenza tra vivere nel sistema fognario e quello che potevamo offrire noi ai bambini. Continuavano a dire che serviva una certa cubatura, un certo grado di luce, una adeguata pavimentazione, bagni piastrellati. Ma dovevamo lasciare che i bambini vivessero nelle fogne, finché non avessimo costruito tutto in regola?

Cosa tiene insieme tutte queste persone?
Le persone in difficoltà imparano ad essere solidali.

Che piani avete per il futuro?
Abbiamo solo 26 dipendenti, e invece ne dobbiamo assumere altri: dobbiamo arrivare a 100 per migliorare la qualità delle cure. Non vogliamo cose straordinarie. Dopo tutto, viviamo in un villaggio. Ma abbiamo bisogno di più insegnanti e più assistenti.

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Ci sono molti volontari: cosa spinge gli americani, tedeschi, olandesi a lasciare le comodità dei loro paesi d’origine e a venire qui, nella campagna rumena, per settimane o mesi, a lavorare nei cantieri edili o a prendersi cura dei bambini?
Fa bene fare del bene. Fa bene a chi lo fa; previene problemi psicologici. È un principio secolare riscoperto dalla psichiatria di oggi e possiamo solo gioire di questo. E ciò che attrae i volontari stranieri qui è esattamente il fatto che essi non vivono negli standard. La loro chiamata proviene dai loro cuori. Vogliono dare qualcosa. I nostri primi volontari sono stati una famiglia svizzera. Nel 1993, dopo che si sono sposati, sono venuti qui e hanno dedicato il primo anno della loro vita coniugale ai nostri figli. Hanno fatto tutti i tipi di lavoro.

Cosa pensa della “liberazione” della donna che per lavorare non mette su famiglia e non fa figli?
In questo modo le donne dimenticano la natura che Dio ha dato loro: l’“angelo del focolare”. Oggi le donne lavorano per portare soldi a casa, ma poi in casa continuano a lavorare, magari mentre il marito è impegnato nello zapping tra i canali televisivi, bevendo birra. Se le donne non lavorassero, l’uomo sarebbe costretto a lavorare di più. E i nostri figli sarebbero meglio istruiti. Tutti gli imperi crollano quando perdono le madri...

Che cosa ti dà la forza di andare avanti? Concludiamo con un messaggio di ottimismo!
Essere ottimisti è una qualità, il pessimismo è un difetto. Ed essere utopisti è un disastro. Utopia significa sperare l’impossibile e sognare. L’uomo ha bisogno di svegliarsi. Per capire che noi siamo “tutto” – la corona, il vertice, della creazione di Dio, ma siamo anche “niente”, come peccatori e persone imperfette. C’è speranza per l’umanità solo se riscopriamo i valori cristiani. Continuare a pensare che una parte della popolazione debba scomparire in modo che gli altri siano in grado di vivere bene è inaccettabile. Fidiamoci di Dio, che è padre misericordioso di tutte le sue creature.

[Traduzione a cura della Redazione]

Stefana Totorcea

Fonte: Notizie ProVitanovembre 2014, pp. 7-8.

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