05/01/2017

Vita: storie di non credenti pro-life

«Sei uno dei sei milioni?», chiede un blog molto attivo negli Stati Uniti.

È gestito dai Secular Pro-life, non credenti che hanno deciso di dire sì alla vita. Sei milioni sono, negli Stati Uniti, coloro che rifiutano l’aborto, pur non professando alcuna fede.

L’esistenza dei Secular Prolife è uno degli esempi possibili per scardinare la convinzione errata che si possa dire no all’aborto e all’eutanasia solo se credenti. Del resto, la Chiesa ricorda che: «Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell’intimità del cuore: fa’ questo, evita quest’altro» (Gaudium et Spes, n.16).

Anche un non credente, dunque, può sentire il desiderio di difendere la vita dal suo concepimento fino al suo termine naturale.

Su quali basi molti atei e agnostici hanno detto il loro sì alla vita? Ecco cosa si ricava dalle loro parole:
La consapevolezza, fondata su basi scientifiche non pregiudiziali, che ci troviamo sempre di fronte una vita umana, anche quando è in stato embrionale o di grave sofferenza. Così Cristopher Hitchens, intellettuale di solito violentemente antireligioso, sosteneva però che «il feto è vivo, quindi la disputa se debba o meno essere considerata ‘una vita’ è casuistica. Lo stesso si applica, da un punto di vista materialistico, alla questione se questa vita sia o no “umana”. Cos’altro potrebbe essere?». Riguardo poi alle persone in stato vegetativo per le quali spesso si invoca l’eutanasia, il neurologo Mauro Zampolini ha spiegato: «Per noi che da molti anni riabilitiamo gli stati vegetativi, la questione è lampante: sono tutt’altro che dei “vegetali”, non sono mai del tutto distaccati dall’ambiente, sono sensibili a suoni, voci, situazioni di pericolo e molto altro»;

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La convinzione che la soppressione di una vita umana sia inequivocabilmente un omicidio. Il regista Pier Paolo Pasolini sosteneva senza giri di parole: «Sono traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio». Oriana Fallaci scriveva: «La parola eutanasia è per me una parolaccia. Una bestemmia nonché una bestialità»;
La persuasione, basata su rilievi seri, che aborto ed eutanasia non siano le soluzioni per “risolvere un problema”. Lenin Raghavarshi, comunista e attivista dei diritti umani in India, alcuni anni fa dichiarava: «La cosa più ridicola e assurda è suggerire che l’aborto è una soluzione alla fame, perché permette il controllo sulla popolazione». Sem- pre riguardo all’aborto, Giuliano Ferrara, direttore de Il Foglio, si è opposto ad una «schizofrenica e grottesca ideologia della salute della donna, che con la donna in carne e ossa e con la sua speranza di salute e di salvezza non ha niente a che vedere» e che, tante volte, determina le uccisioni dei bambini non nati. E sull’eutanasia Lucien Israel, medico, è certo: «Oggi è possibile placare tutte le sofferenze, non c’è nessuna ragione di invocare l’eutanasia».

È corretto precisare che non sempre i non credenti abbracciano integralmente quanto sostiene la dottrina cattolica su aborto ed eutanasia (per esempio: alcuni dicono no all’aborto, ma sì alla contraccezione), ma è importante mostrare che un terreno comune esiste.

La collaborazione tra credenti e non credenti per diffondere la cultura della vita è dunque possibile e auspicabile.

Claudia Cirami

Fonte: Notizie ProVitaottobre 2014, p. 24.

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