06/12/2016

Aborto post nascita o pre nascita, che differenza fa?

Quando due bioeticisti italiani, Giubilini e Minerva, hanno pubblicato sul Journal of Medical Ethics un articolo su quello che hanno definito “aborto post-nascita”, molti hanno preso in poca considerazione la cosa, come un esercitazione teorica, sofistica, astratta.

I due affermavano che il fatto di essere “umani” non attribuisce di per sé il diritto alla vita. Sarebbe piuttosto l’essere “persona” che conferirebbe questo diritto. Sarebbe persona solo l’individuo capace di attribuire un qualche valore alla sua esistenza. Quindi l’essere persona dipende dal possesso di autocoscienza.

Il momento in cui ciò avviene deve essere deciso da psichiatri e psicologi. Ma fino a quel momento la madre (e forse anche il padre) può disporre a suo piacere della vita e della morte del figlio , sia nel grembo che dopo che è nato. Chi volesse approfondire e leggere un efficace commento all’articolo dei due, può vedere qui.

Notavamo, in un altro contesto, quanto l’aborto post nascita fosse comunque una tragica realtà: quando l’aborto si pratica a gravidanza avanzata, spesso i bambini sopravvivono: vengono ucciso o lasciati morire tra i rifiuti molto più frequentemente di quanto si possa pensare.

La cronaca giudiziaria, però, ci mostra un altro dato molto inquietante: di fatto è sempre più comune l‘assoluzione delle madri che commettono infanticidio.

Recentemente, una donna che ha annegato il suo bambino appena nato a Kamloops in British Columbia (Canada) è stata condannata – se così si può dire – a solo due anni di libertà vigilata. Il giudice ha tenuto in considerazione che il figlio era frutto di un rapporto sessuale non voluto durante una festa in cui qualcuno si è approfittato della giovane che si era ubriacata pesantemente.

Dopo il parto – in casa – e l’annegamento, perché quella mattina doveva sostenere un esame alla  ‘Thompson Rivers University“, la donna ha messo il corpicino in una scatola, la scatola in uno zaino e lo zaino nel bagagliaio della sua auto, con l’intenzione di seppellirlo nella sua città natale di Lillooet. Ma tre settimane più tardi ha prestato l’auto ad un amico che è stato coinvolto in una collisione e il cadaverino è stato scoperto dalla polizia.

Qualche tempo fa c’è stato un caso analogo, sempre in Canada.

Se la legge permette l’aborto, disse il giudice, perché punire l’infanticidio?

Tanto che  quando  lo Stato dell’Alberta ha chiesto alla Corte Suprema canadese di ridefinire più severamente l’uccisione dei neonati, le femministe e i soliti noti sono insorti con i soliti argomenti che i Lettori possono ben immaginare: i diritti delle donne, la punizione è già nell’aver compiuto il gesto estremo costrette dalla necessità, ecc. ecc.

Le stesse scuse usate quarant’anni fa per giustificare l’aborto quando non era legale, vengono ora addotte per giustificare l’assassinio di bambini piccoli. Del resto la giovane mamma omicida di Kamloops sembrava sinceramente pentita. Ma  – moralmente – se è convinta che l’aborto (che in Canada è libero fino al nono mese, quindi è socialmente normalizzato) è accettabile, perché doveva respingere l’idea di infanticidio di un bambino appena nato?

Ci incamminiamo verso la depenalizzazione dell’ omicidio dei bambini, con lo schermo della neolingua che lo chiamerà “aborto post – nascita”?

Francesca Romana Poleggi

 


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