25/03/2016

Autodeterminazione del singolo. Ma un bene universale esiste?

Al giorno d’oggi un valore fondamentale pare essere quello dell’autodeterminazione: assistiamo infatti, da una parte a una radicalizzazione del valore della libertà e, dall’altra, a una riduzione della stessa a diritto dell’uomo isolato.

Questi due aspetti oggi convivono: il valore della libertà individuale si è assolutizzato, ma la libertà intesa come fattore aggregante e di emancipazione collettiva ha smesso di rappresentare un’idea capace di guidare i popoli.

Dietro il principio dell’autodeterminazione c’è l’eredità del pensiero moderno, del razionalismo e del liberalismo. C’è, in particolare, il principio kantiano dell’autonomia morale. Ma è altrettanto evidente che al soggettivismo trascendentale ed umanitaristico, che promuoveva rivoluzioni e sbandierava l’emancipazione dei popoli e delle classi, si è ormai sostituito un individualismo soggettivistico. All’autodeterminazione dei popoli si è, quindi, sostituita l’autodeterminazione del singolo.

Pertanto, il protagonista morale, come il protagonista politico, è divenuto l’individuo, al di fuori dei gruppi e delle ideologie. Ai popoli e alle classi sono state strappate le bandiere e gli slogans in nome dei quali cambiare la storia e il mondo. All’individuo è stata lasciata la sua coscienza, intesa ormai come un territorio franco in cui non arrivano la destrutturazione di senso e l’invalidamento che invece coinvolgono le ideologie e i saperi universali. “Viviamo in un mondo – ha scritto Ch. Taylor – in cui gli uomini hanno il diritto di scegliere da sé il proprio modo di vita, di decidere in piena libertà di coscienza quali convinzioni abbracciare, di foggiare la loro vita in mille diverse maniere su cui i loro antenati non avevano nessun controllo. E in genere questi diritti sono difesi dai nostri sistemi giuridici” (Il disagio della modernità).

L’autonomia dell’individuo è divenuto, ormai, il valore supremo. La libertà di scelta in dipendenza dalle proprie opinioni private costituisce un assoluto. Valori o diritti che vi entrino in concorrenza appaiono, di conseguenza, come vincoli o divieti intollerabili.

Con l’autonomia morale, l’autodeterminazione diviene misura, sistema di vita, che indirizza azioni, decisioni, scelte, valutazioni. “La vita mi appartiene e nessuno può disporne, se non io stesso è l’assunto di base della bioetica laica. “Sempre più – ha scritto Maurizio Fanni – i convincimenti personali assurgono a valore primario, come quando si tratti di strutturare i legami di convivenza, decidere se e quando avere un figlio, farlo nascere e con chi allevarlo, accettare o respingere i processi di fecondazione extracorporea, esprimersi anticipatamente sull’indisponibilità a proseguire la vita in presenza di patologie neurologiche, come stimare i casi di accanimento terapeutico, di interventi su pazienti in stato vegetativo, ecc.”.

Perduta l’idea di un bene universale, conoscibile dalla ragione umana, “ci si è orientati a concedere, quindi, alla coscienza dell’individuo il privilegio di fissare, in modo autonomo, i criteri del bene e del male e agire di conseguenza” (Veritatis Splendor). Questo ha comportato che l’imprescindibile esigenza di verità dell’etica è di fatto scomparsa, in favore di un criterio di autenticità, di sincerità e di “accordo con se stessi“.

Tutte le opzioni hanno identico valore, purché siano scelte liberamente. Anzi, in ultima analisi è la scelta che conferisce valore, la scelta in se stessa, al di là di quello che si sceglie, al di là anche del perché si sceglie. La libertà “è il principio efficiente e formale dell’azione morale: tutto ciò che è compiuto liberamente è di per se stesso conforme all’uomo e pertanto intrinsecamente morale” – ha scritto R. Lucas Lucas (Orizzonte Verticale). E’ lecito tutto ciò che l’uomo compie seguendo il proprio convincimento. I contenuti concreti dell’agire vengono, quindi, a dipendere, nella loro qualificazione morale, solo dall’autocomprensione dell’individuo. “Il solo precetto morale è agire liberamente. La moralità non riguarda più il contenuto dell’azione in rapporto alla soggettività della persona, ma la sola motivazione soggettiva della persona” (Orizzonte Verticale).

Se la scelta è fatta liberamente, non c’è alcun motivo per negare, per vietare, per regolare. L’unico criterio per valutare della liceità di un’azione è l’accordo con se stessi, l’autenticità dell’azione. Seguire le tendenze spontanee nell’agire è sufficiente per essere morali. Di conseguenza, l’auto-trasparenza e l’integrità dell’io sono viste in misura crescente “non come mezzi volti a un fine morale definito in maniera indipendente, ma come qualcosa che ha il suo pregio in se stesso” (Orizzonte Verticale). E l’autenticità è una diretta filiazione dell’autonomia e, quindi, della libertà intesa in un’accezione meramente individuale. “L’autenticità – scrive Ch. Taylor – è essa stessa un’idea di libertà, in quanto implica che io trovi da solo, contro gli imperativi del conformismo esterno, il disegno della mia vita” (Il disagio della modernità).

Ma se l’autenticità costituisce il metro di valutazione dell’etica, l’autorealizzazione ne costituisce il fine. L’auto-realizzazione restringe all’individuo lo spettro di valutazione degli scopi, delle finalità ultime. La libertà è indirizzata, quindi, all’autorealizzazione individuale, a prescindere da ogni valutazione che tenga conto di contesti, tradizioni, relazioni, responsabilità. Si realiza in tal modo quanto prospettato da Nietzsche in Al di là del bene e del male: “L’uomo di specie nobile sente se stesso come determinante il valore, non ha bisogno di riscuotere approvazione, il suo giudizio è ‘quel che è dannoso a me, è dannoso in se stesso’, conosce se stesso come quel che unicamente conferisce dignità alle cose, egli è creatore di valori.”

Ma proprio l’autorealizzazione stessa denuncia il male profondo che interessa l’etica dell’autodeterminazione, dalla quale prende le mosse la cosiddetta bioetica laica. Esso non consiste tanto nel fatto che quella venga intesa in senso eminentemente materialistico ed edonistico, quanto nel fatto che venga separata dalle dimensioni relazionali, spirituali e religiose dell’esistenza: “L’unico fine che conta è il perseguimento del proprio benessere materiale. La cosiddetta «qualità della vita» è interpretata in modo prevalente o esclusivo come efficienza economica, consumismo disordinato, bellezza e godibilità della vita fisica, dimenticando le dimensioni più profonde — relazionali, spirituali e religiose — dell’esistenza” (Evangelium vitae).

Clemente Sparaco

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