26/07/2014

Chi ha rubato la nostra cultura? (parte prima: le origini)

Sul sito WND America’s Indipendent News Network abbiamo letto un estratto del libro di Ted Baehr e Pat Bone “The Culture-wise Family: Upholding Christian Values in a Mass Media World”. Precisamente, l’estratto proveniva dal capitolo 10, scritto dallo storico Williams S. Lind. E’ un interessantissimo saggio che ripercorre nella storia recente il processo che ha portato al disfacimento culturale della società occidentale e dei suoi valori. Lo proponiamo ai nostri lettori, a puntate per evitare che si lascino distogliere dalla lunghezza. Siamo sicuri che coloro che non conoscono la storia della filosofia, e in particolare la storia della Scuola di Francoforte, ce ne saranno grati. Chi già la conoscesse, invece, può confrontare ciò che sa con ciò che scrivono gli autori e trarne le considerazioni critiche più opportune .

Lo scritto è di un Americano che considera l’evoluzione della società americana, ma si adatta benissimo alla storia d’Europa e dell’Italia, in particolare.

Ciò che è indicato tra parentesi è un’annotazione di questa Redazione.

In un qualche momento, in quest’ultimo mezzo secolo, qualcuno ha rubato la nostra cultura. Solo 50 anni fa o poco più, l’America era un posto fantastico. Era sicuro. Era decente. I bambini ricevevano una buona educazione nelle scuole pubbliche. I padri operai portavano a casa redditi da classe media, così le mamme potevano stare con i bambini. Gli spettacoli televisivi riflettevano suoni e valori tradizionali. Che fine a fatto tutto questo? Come ha fatto l’America a divenire il luogo decadente e squallido in cui viviamo oggi, così tanto mutato che, chi è cresciuto prima degli anni ’60, si sente come se vivesse in un paese straniero?

In realtà è stato attuato un progetto ordito scientemente per rubare la nostra cultura e lasciarne al suo posto un’altra nuova e molto diversa. La storia di come e perché tutto questo è avvenuto è una delle parti più importanti della storia della nazione americana (e occidentale) – e si tratta di una storia che quasi nessuno conosce.

La cultura tradizionale americana, che era cresciuta nel corso delle generazioni dalle nostre radici giudaico-cristiane occidentali, è stata spazzata via da una ideologia. Oggi domina la “correttezza politica”, il “multi-culturalismo” (il relativismo etico). Il “marxismo culturale”, ovvero, il marxismo tradotto da termini economici in termini culturali, ha creato tutto questo, in uno sforzo che non risale agli anni ‘60, ma comincia molto prima. Incredibile come, dagli anni ’90, momento in cui il vecchio marxismo economico dell’Unione Sovietica è svanito, il nuovo marxismo culturale ha preso vigore divenendo l’ideologia dominante delle élite americane, con l’obiettivo di distruggere la cultura occidentale e la religione cristiana.

Prima della I Guerra Mondiale, la teoria marxista asseriva che, se in Europa fosse scoppiata una guerra, i lavoratori in tutti i paesi si sarebbero sollevati, rovesciando i loro governi per creare una nuova Europa comunista. Ma quando scoppiò la guerra, nell’estate del 1914, questo non avvenne. I lavoratori in tutti gli Stati europei si misero in fila a milioni per combattere i nemici del loro Paese. Nel 1917 si verificò la rivoluzione comunista solo in Russia (in un paese dove l’economia capitalista non era niente affatto matura, ma stava muovendo i primi passi incerti: Marx invece aveva previsto che la rivoluzione sarebbe scoppiata dove la classe operaia fosse stata sfruttata al massimo da pochi capitalisti borghesi). E i tentativi di diffondere quella rivoluzione ad altri paesi fallì perché proprio i lavoratori non la supportarono.

I teorici marxisti hanno dovuto chiedersi perché. Da buoni marxisti, non potevano ammettere che la teoria fosse sbagliata. Al contrario, due come Antonio Gramsci in Italia e Georg Lukacs in Ungheria risposero in ugual modo alla domanda. Asserivano che la cultura occidentale e la religione cristiana accecavano la classe operaia riguardo i suoi veri interessi e che una rivoluzione comunista era impossibile in Occidente fino a quando entrambi non sarebbero stati distrutti. Tale obiettivo del “marxismo culturale” non è mai cambiato.

Gramsci definì una strategia per distruggere il cristianesimo e la cultura occidentale che si è dimostrata fin troppo efficace. Invece di sobillare le masse con una rivoluzione comunista frontale, il Marxismo doveva intraprendere una “lunga marcia dentro le istituzioni” – le scuole, i media, perfino le chiese. Questo è ciò che l’America ha vissuto, soprattutto dal 1960 (e anche l’ Italia!).

Georg Lukacs si è dimostrato ancor più influente. Nel 1918, divenne vice commissario per la cultura nel regime bolscevico ungherese di Bela Kun. Ha così istituito il “terrorismo culturale.” Una delle sue componenti principali è stata l’introduzione dell’educazione sessuale nelle scuole ungheresi: distruggere la morale sessuale tradizionale del paese, avrebbe consentito di distruggere la cultura tradizionale e la fede cristiana. La classe operaia ungherese si indignò così tanto che quando la Romania invase l’Ungheria, i lavoratori non combatterono per il governo Bela Kun. Lukacs, nel 1923, riapparve ad un convegno dal titolo “Settimana di studio marxista” in Germania, un programma sponsorizzato da un giovane milionario marxista Felix Weil, in cui la prospettiva culturale di Lukàcs ebbe enorme successo.

Weil, quindi, creò l’ “Istituto per il Marxismo” presso l’Università di Francoforte in Germania. Ma i ‘marxisti culturali’ si resero conto che potevano essere molto più efficaci se il nome fosse stato un neutro, “Istituto per la Ricerca Sociale”, presto conosciuto semplicemente come la “Scuola di Francoforte”. Qui si è sviluppata la concezione del politically correct, da cui tutto il mondo oggi è soggiogato.

In un primo momento, l’Istituto lavorava su temi marxisti convenzionali, quali il movimento operaio. Negli anni ’30 Max Horkheimer vi introdusse nuovi membri come Theodor Adorno, Eric Fromm, Wilhelm Reich, Herbert Marcuse.

Traduzione ed adattamento a cura della Redazione

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