12/01/2015

Contro il suicidio, vicino a chi soffre ...

“Il suicidio contraddice la naturale inclinazione dell’essere umano a conservare e a perpetuare a propria vita”. Così recita il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 2281). Oltre ad essere un peccato grave, quindi, il suicidio è per la Chiesa una violazione del diritto naturale.

Proponiamo ai nostri lettori questo articolo pubblicato sul mensile Notizie Pro Vita, che meritava di essere letto e merita di non essere dimenticato.

 Da tempo si sta conducendo una vasta campagna a favore del suicidio assistito. Recentemente è stato diffuso dai radicali un filmato che racconta la storia di Piera Franchini, andata a morire in una clinica svizzera nel novembre 2012, perché malata di cancro. Nel video la signora dichiara di non voler più soffrire, perché il suo sarebbe dolore fine a se stesso, che non giova a nessuno. Pertanto, poiché ognuno è padrone della propria vita, Piera decide di ricorrere al suicidio assistito. Quello di questa signora di Venezia è soltanto uno dei tanti casi in cui qualcuno decide di togliersi o farsi togliere la vita per non soffrire o per porre fine a situazioni di disagio esistenziale. Pensiamo ad esempio all’ex assessore comunale di Jesi (An), Daniela Cesarini, malata di poliomielite sin dalla nascita, che, dopo la morte del marito e del figlio, è andata in Svizzera senza dir nulla a nessuno e non è più ritornata, scegliendo di morire lo scorso 25 aprile. Come si nota, non si tratta di casi limite, bensì di situazioni gravi, certamente, ma diffusissime.

Ferma restando la discrezione dovuta, tenuto conto del fatto che è facile parlare non trovandosi in date condizioni e ricordando pure che “non si deve disperare della salvezza eterna delle persone che si sono date la morte” (CCC 2283), non è possibile esimersi da un giudizio oggettivo su scelte prese in piena coscienza e talvolta persino rivendicate per scopi politici. Vogliamo davvero andare verso una società che esalta il suicidio come espressione di somma libertà individuale? E che mondo mai sarebbe quello in cui il medico, contravvenendo al Giuramento di Ippocrate, dà la morte anziché le cure per guarire? Vogliamo una società in cui i malati vengono soppressi perché inutili? Approvando una legge sul cosiddetto suicidio assistito, infatti, anche chi non lo vorrà subirà pressioni più o meno esplicite per ricorrervi. Ecco cosa accade quando si rinnegano il Cristianesimo e il buon senso. La malattia e la sofferenza non sono lesive della dignità umana, ma fanno parte della vita e dovrebbero essere combattute e, al contempo, accettate con santa rassegnazione. Per questo dovremmo costruire un mondo in cui ci si prende cura e ci si fa carico di chi versa nel bisogno, stando vicino a chi soffre e sostenendo chi si sente abbandonato. L’individualismo odierno ci trasforma in isole e porta molti ad una solitudine tale da togliere la voglia di vivere. Non sarebbe meglio riscoprire la bellezza dello stare insieme e di sentirsi parte di una comunità di fratelli che si assistono l’un l’altro? Non sarebbe giusto che chi versa nel dolore ia ritenuto membro utile per la società intera? A questo lo Stato dovrebbe provvedere e non certo a dare la morte. Non si può quindi additare a modello chi sceglie il suicidio. Questo, infatti, “è gravemente contrario al giusto amore di sé. Al tempo stesso è un’offesa all’amore del prossimo, perché spezza ingiustamente i legami di solidarietà con la società familiare, nazionale e umana, nei confronti delle quali abbiamo degli obblighi. Il suicidio è contrario all’amore del Dio vivente” (CCC 2281).

Federico Catani

Tratto da NotizieProVita n.7 – Luglio/Agosto 2013 – Pag.9

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