08/04/2015

Gender, sesso, famiglia: benvenuti nel Mondo Nuovo

I tentativi del nuovo totalitarismo ideologico del gender, che vuole distruggere la famiglia e diffondere la sessualizzazione precoce dei bambini, mi spingono a cercare un libro, in biblioteca.

Esiste un libro, infatti, che ogni tanto riprendo in mano e leggendo il quale mi sembra sempre di leggere un reportage della vita presente, ricordandomi sempre troppo tardi che il libro è stato pubblicato nel 1932.

Sto parlando de Il Mondo Nuovo di Aldus Huxley. Quando tempo fa capitò che questo libro fosse citato in una celebre trasmissione radiofonica in cui si parlava tutti i pomeriggi di libri, il presentatore in questione definì il romanzo come qualcosa di terribile. La cosa divertente, ma che è totalmente tragica, è che certi intellettuali come quello menzionato considerano terribile un romanzo in cui si parla di fatti che stanno succedendo sotto i nostri occhi, o che comunque arriveranno presto se non si contrastano, e che questi stessi intellettuali sposano in toto e sponsorizzano involontariamente nelle loro trasmissioni, invitando spesso ospiti che portano avanti sui loro giornali tutti i miti di falso progresso che purtroppo conosciamo bene.

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Intellettuali come questo inorridiscono davanti a certi libri e poi collaborano di fatto alla costruzione di una società simile a quella presente nel romanzo stesso. Difatti la società distopica descritta da Huxley non è molto dissimile da quella in cui viviamo noi. In questo romanzo le persone sono fatte nascere in provetta, l’uomo si è sostituito di fatto alla natura per creare gli uomini come il potere desidera, per di più sterili, di modo da non rischiare di avere donne che partoriscano ancora in modo naturale, o meglio in modo animale e bestiale, perché – questo è il pensiero dominante in quella società – non vi è nulla di naturale nella costrizione (ovviamente cristiana) di partorire secondo vie ordinarie, pratica indegna della donna e da doversi superare.

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Rifuggendo la naturalità, il piano è distruggere la natura data da Dio per costruire un sistema totalmente umano, o per meglio dire umanizzato. Questo per alcuni potrebbe anche essere visto come un miglioramento delle condizioni umane, un’emancipazione dalla brutale natura, eliminando ogni rischio di mortalità per gravidanza, se non fosse per il fatto che nel romanzo è ovviamente un ordinamento mondiale a decidere come i bambini dovranno nascere e in cui ogni particolare fisico e psicologico viene costruito in laboratorio: non più un essere umano nato come dono ma voluto come vogliamo noi. Vi dice niente tutto questo, se lo rapportiamo alle tecniche moderne di fecondazione assistita o dell’utero in affitto? La strada è proprio questa.

E senza più una generazione personale dei figli, a cosa dovrebbero servire ancora le figure dei genitori? Nella società di Huxley infatti le famiglie sono scomparse e i figli appartengono all’intera collettività. In una società senza genitori l’educazione – come è sempre accaduto in ogni totalitarismo – non è più delegata ai genitori (che comunque nel romanzo non esistono più) ma viene gestita dai Centri Statali di Condizionamento, come li chiama Huxley. Forse ci dice qualcosa il tremendo attacco che oggi viene sferrato contro la famiglia, in una scuola che pretende di fornire l’educazione alle nuove generazioni?

Nella scuola della società di Huxley ci sono lezioni sessuali ed espliciti giochi erotici tra i bambini, con la figura del Sopraintendente Aggiunto di Psicologia per quei pochi bambini che (in maniera bigotta) sono ancora riluttanti verso tali pratiche di progresso. Tutto questo somiglia molto ai moderni tentativi di indottrinamento che l’ideologia gender intende portare avanti, stravolgendo i valori della sessualità e quindi della famiglia stessa. In un mondo come il nostro in cui si riscontra un crollo dei matrimoni e l’avanzamento ormai dilagante delle convivenze fai da te, il perseguimento istintuale di ogni desiderio immediato è la sola regola accettata nella mentalità odierna.

Così accade anche nel romanzo di Huxley, in cui si crede – in linea col disastroso pensiero di Freud – che la repressione porti alla pazzia e che la felicità consista nello smaltimento dell’impulso, e si è annullato il tempo tra il momento del desiderio e il momento del suo soddisfacimento. Per questo i matrimoni sono scomparsi, perché sposarsi significa creare dei legami contrari alla fluidità dei rapporti. Per chi considera oggi la fedeltà una virtù bella da perseguire e la base del compimento dell’uomo, è facile capire che per loro si apriranno presto case di cura in cui troveranno letti a fianco di coloro che continuano a considerare i matrimoni tra uomo e donna come gli unici possibili.

Nella società di Huxley la fedeltà alla donna amata è considerata qualcosa di innaturale, un condizionamento che soggiogava gli uomini di un tempo, possibile solo perché inculcato loro fin da piccoli; difatti una forzatura, perché non è naturale rimanere legati a una brutta donna quando è vecchia. Essendo infatti la donna soltanto carne (se siamo solo animali è logico che sia così), è assurdo ritenersi legati ad esse anche quando diventano vecchie perché in una simile società le donne sono soltanto merci da usare finché sono giovani e che poi quando scadono sono da buttare. E la mercificazione delle persone è qualcosa di visibilissimo oggigiorno, il suo fantasma perlomeno aleggia nelle nostre città: bambini comprati da uteri altrui, vecchi eliminati quando diventano un peso per la collettività, malati scartati quando sono un costo troppo gravoso per una società edonistica che non accetta la sofferenza, così come la sofferenza è bandita dalla società di Huxley.

Per questo, al minimo disagio personale, esiste il soma, una droga che – come ogni droga – serve per eludere le paranoie dei vuoti esistenziali, obliando quindi ogni domanda di significato sulla vita, facendoci dimenticare la realtà attraverso meravigliosi viaggi mentali. E poi sarebbe la religione ad essere alienante! E infatti in questo romanzo non c’è più posto per la vecchia religione: il cristianesimo è passato, le croci eliminate, Dio una leggenda antica. E il nuovo dio è chiaramente lo stesso uomo, o meglio una sua proiezione. In una pagina difficile da dimenticare, grazie al rito di certe pillole che annebbiano la coscienza, dodici personaggi si abbandonano a un ballo sfrenato e si fondono in un’unica coscienza; tutti nell’Uno, l’Essere Supremo, ed ora la divinità non è più Dio ma un’astrazione superiore degli stessi uomini. E il numero dodici parrebbe simboleggiare il numero degli apostoli cristiani, avendo accanto a sé un tredicesimo uomo che non è più il Cristo Salvatore ma un’immanente coscienza collettiva. Insomma, la New Age.

La paura della morte (da cui per molti non credenti derivano tutte le religioni) nella società di Huxley è stata estirpata perché considerata normale e quindi del tutto naturale. Tanti documentari televisivi ci vogliono infatti inculcare soltanto questo. Tutta la fantasia e l’amore divino riversati nella creazione in infinite varietà di forme, di colori, di astuzie e abilità istintive, di cura per i piccoli, di vita sociale, tutto questo immancabilmente e reiteratamente viene servito con immagini di agguati, di crude lacerazioni di membra e di lauti banchetti, come se la vita degli animali fosse un continuo pasto da un lato e un inutile quanto vano tentativo di fuggire alla propria ineludibile sorte dall’altro. Come se la morte fosse la più normale delle cose. Effettivamente oggi, più che nascondere la morte, se ne parla costantemente, in modo ossessivo e macabro, per esorcizzarla e mostrarla come qualcosa di normale e naturale, da accettarsi in modo rassegnato, senza cercare o sperare in salvezze ultraterrene o affidandosi a un Redentore.

Nel romanzo di Huxley il regno dell’uomo si è instaurato, e tutto è pianificato nel nome del razionalismo produttivistico dove tutti sembrano felici e in cui Dio è stato bandito dalla vita di ogni giorno – come aveva tentato di fare il comunismo ai tempi di Huxley e come alcuni Soloni contemporanei (vedi il giornale di Repubblica) vorrebbero fare oggi. La felicità ha un costo, dice il governatore del Mondo nuovo di Huxley, e se per raggiungerla bisogna abdicare alla bellezza e alla verità, ben venga questa rinuncia.

E questo è un pericolo sempre presente nei totalitarismi. La felicità è un padrone più esigente della verità, un desiderio più forte e più umano. Senza capire che forse felicità e verità sono legate, la maggior parte degli uomini sembra pronta a barattare volentieri la verità per la felicità, ma mai viceversa. Avere il pane a discapito della libertà è qualcosa di molto familiare alla storia dell’uomo, fin dalle tentazioni nel deserto di Satana ai danni di Gesù Cristo, e la cui dinamica è magistralmente esposta da Dostoevskij nel capitolo della Leggenda del Grande Inquisitore contenuto nei Fratelli Karamazov.

Ma l’uomo autentico preferisce l’infelicità alla felicità dello schiavo; l’uomo autentico non lo si riesce a incasellare in un ordinamento perfetto e instaurato dall’ideologia, in quanto l’uomo preferisce essere pazzo piuttosto che schiavo, come insegna sempre stupendamente Dostoevskij nelle Memorie dal sottosuolo. Difatti un eroe che si oppone a questo ordinamento mondiale esiste nel romanzo di Huxley. La nostra speranza è che di queste persone ce ne siano molte nella nostra società, cosa tanto più urgente quanto più ci avvediamo giorno dopo giorno che i rinoceronti di cui scriveva Ionesco sono presenti in un numero sempre più crescente. Guardare per credere.

Amombogì

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