14/01/2014

Il catechismo e l’aborto

La religione – se è vera, e la legge – se è giusta, devono rilanciare i principi di diritto naturale, che la ragione è in grado di cogliere autonomamente. La dottrina cattolica è lo specchio del diritto naturale e il Catechismo lo sottolinea, ad esempio, nelle sue proposizioni di ferma condanna dell’aborto

Per molti opporsi alle legislazioni abortiste sarebbe sinonimo di oscurantismo medioevale. In realtà, lottare contro l’aborto e considerarlo un omicidio è semplicemente la posizione di chi è realista, obiettivo e ragionevole. La Chiesa, infatti, nel suo Magistero a difesa della vita, non fa che difendere il diritto naturale. Un’enciclica fondamentale su questo tema è la Evangelium vitae, che Notizie Pro Vita ha commentato in tre numeri passati: tutti, credenti e non, dovrebbero leggerla e meditarla. In questa sede, però, facciamo alcune riflessioni prendendo spunto dal Catechismo della Chiesa Cattolica.
Che la vita umana inizi dal momento del concepimento dovrebbe essere scontato, sia sul piano logico-razionale, che su quello scientifico. Non è ad esempio insensato stabilire che si possa “interrompere la gravidanza” solo fino al terzo mese? Perché mai? Che vuol dire? Forse che a partire dal giorno dopo questa scadenza il feto diventa magicamente bambino, mentre un giorno prima non lo è? Ciò è assurdo. Noi sappiamo invece che già nello zigote v’è tutto il patrimonio genetico della persona.
Per questo il Catechismo afferma che “la vita umana deve essere rispettata e protetta in modo assoluto fin dal momento del concepimento. Dal primo istante della sua esistenza, l’essere umano deve vedersi riconosciuti i diritti della persona, tra i quali il diritto inviolabile di ogni essere innocente alla vita” (n. 2270). Questo è un insegnamento costante della Chiesa e mai mutato, dal primo secolo sino a oggi, infallibile. Lo stesso Concilio Vaticano II ha definito l’aborto un “abominevole delitto”.
Infatti, “l’aborto diretto, cioè voluto come un fine o come un mezzo, è gravemente contrario alla legge morale” (CCC 2271).
E visto “il danno irreparabile causato all’innocente ucciso, ai suoi genitori e a tutta la società” (CCC 2272), per tale crimine la Chiesa prevede la scomunica latae sententiae.
Chiaramente, dati questi presupposti, “il diritto inalienabile alla vita di ogni individuo umano innocente rappresenta un elemento costitutivo della società civile e della sua legislazione” (CCC 2273). Infatti, questo è il primo di tutti i diritti, un diritto fondamentale che le Costituzioni e le leggi degli Stati devono semplicemente riconoscere, perché esso le precede. Quando una normativa attacca la vita, allora non si può più parlare di Stato di diritto.
Inoltre, con la soppressione di un essere umano innocente e indifeso, si nega l’uguaglianza di tutti di fronte alla legge. E se la democrazia non tutela il diritto naturale e anzi, vi legifera contro, perde ogni legittimità. Di fronte a leggi come la 194/1978, il buon cristiano (ma anche il buon cittadino di qualunque altra confessione) è tenuto quindi a non obbedire, perché esse, non essendo conformi alla ragione, sono inique e cessano pertanto di essere leggi, diventando atti di violenza, come da sempre insegna la Chiesa.
Se l’ordinamento giuridico, in tali casi, non riconoscesse il diritto all’obiezione di coscienza, ci troveremmo senz’altro dinanzi a uno stato totalitario, uno “Stato etico”, cioè un ente che pretendere di decidere da sé cosa è Bene e cosa è male. In tal caso il potere dello Stato risulterebbe alla fine illimitato e i cittadini diverrebbero sudditi, come ai tempi dell’assolutismo.
Ma nella lotta all’aborto – è utile ricordarlo e sottolinearlo – si devono chiedere anche sanzioni penali per chi si macchia di tale delitto. Se, infatti, di omicidio di un innocente si tratta, non si vede perché uno Stato non dovrebbe prevedere il carcere per chi vi si rende responsabile e complice.
Lo esigono la coerenza e la giustizia.

di Federico Catani

Festini

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