17/02/2014

Il “progressismo regressista” del XX secolo

“Progressista” è un aggettivo che da almeno mezzo secolo è considerato con un’accezione positiva: il progresso è “avanti”, è quindi “bene”, anzi : “meglio”. Al progresso, che dà di più, si contrappone il regresso, che è sempre considerato un peggioramento.  A parte il fatto che  “andare avanti” o “tornare indietro”,  in sé e per sé non è né bene né male,  bisognerebbe star molto attenti a ricordare che tra “progresso” e “progressismo” c’è una bella differenza.
Grazie a un’abile manipolazione socio –culturale  “progressista” è divenuto sinonimo di “liberale” e “illuminato”. Lo spiega bene, per i nostri lettori, il brillante articolo di George Neumayr, saggista e giornalista americano, apparso poco tempo fa sul sito LifeSiteNews.com.  <http://www.lifesitenews.com/news/progressivism-the-greatest-source-of-death-and-terror-in-the-twentieth-cent?utm_source=LifeSiteNews.com+Daily+Newsletter&utm_campaign=2e1fd06cfe-LifeSiteNews_com_Intl_Headlines_06_19_2013&utm_medium=email&utm_term=0_0caba610ac-2e1fd06cfe-397585041>
L’opinione pubblica è ormai abituata a equiparare il progressismo col progresso, ma se ci si ferma a riflettere appare evidentissimo il divario che c’è tra la retorica del progresso e la realtà. Basta guardare le ideologie sanguinarie del XX secolo: sono state presentate come progressiste, avrebbero dovuto gettare le basi per un’umanità migliore, pur scardinando i più basilari precetti della ragione e della legge naturale.
Negli anni ’20, ad esempio,  Oliver Wendell Holmes, considerato un pilastro del progressismo, auspicava la sterilizzazione di massa di chiunque le elites dominanti considerassero inferiore, e scriveva:  “E’ meglio evitare di dover condannare a morte i criminali o veder morire di fame gli imbecilli: la società deve prevenire la riproduzione di certe persone”. Molto prima della “soluzione finale” programmata da Hitler, Margaret Sanger, fondatrice di Planned Parenthood, scriveva della necessità di eliminare i deboli di mente e le altre minoranze indesiderabili. Molto prima che i nostri legislatori progressisti (in America e nel nord Europa soprattutto) organizzassero norme per l’eutanasia e il suicidio assistito, il famoso commediografo George Bernard Shaw, caro ai progressisti di ogni tempo e luogo, proponeva moduli di eliminazione di massa: “Ognuno conosce un po’ di persone assolutamente inutili, che danno più problemi che valore aggiunto: andrebbero messe con le spalle al muro e bisognerebbe dirgli: signore, signora, sarebbe così cortese da giustificare la sua esistenza?” Del resto, chi studia la storia oggettivamente sa che Hitler si è ispirato alle teorie eugenetiche che circolavano in America, specialmente in California, ampiamente elogiate nel Mein Kampf del 1924. Nel frattempo il “progressismo” veniva riscontrato ed esaltato nella sanguinaria dittatura Comunista sovietica che si andava affermando dopo la rivoluzione bolscevica del ’17, e che per decenni è stata presentata ai nostri giovani come il progresso maggiormente auspicabile per qualsiasi società, come il “paradiso in terra”.
Con tali presupposti il termine avrebbe dovuto destare sospetto o addirittura cadere del tutto in disuso. E invece ancora oggi “progressista” suona ancor meglio che “liberale”. Persino la Hillary Clinton, durante la campagna elettorale del 2007 ha preferito definirsi progressista piuttosto che liberale: e negli USA il termine “liberal” è sinonimo di democratico e “di sinistra”. Ma “progressista” è meglio: sottende l’idea che vuole una società più “progredita” economicamente, tecnologicamente e socialmente. Ben si sposa con l’idea che tutto ciò che è fuori moda merita discredito, come rilevava sconsolato C.S. Lewis. Come se una cosa vera e un’idea giusta cessassero di essere vere e giuste solo perché  chi ha il potere o la maggioranza non le pratica più. Ironia della sorte vuole, intanto, che sono invece le idee progressiste a voler rinstaurare le barbarie dell’antichità (la rupe Tarpea per i disabili, il diritto di vita e di morte dei genitori sui figli, la promiscuità e la devianza sessuale…)
Perciò, il progresso che di per sé vorrebbe significare un avanzamento, nel linguaggio politico e religioso attuale significa un “regresso” a pratiche e ideologie primitive che minano la crescita dell’individuo e della società.  Il progresso autentico dovrebbe essere inseparabile dalla verità e dal bene. Non tutti i cambiamenti sono sempre e comunque miglioramenti  (come invece sostiene un progressista come Hans Kung).
E’ stato bravo Renzo Puccetti, nel suo libro “I veleni della contraccezione”, a ridare il giusto significato alle parole: chiama “regressisti” quei teologi e intellettuali cattolici che hanno provocato un abbattimento delle vocazioni e della pratica religiosa in nome del progressismo: evidentemente un “progressismo sbagliato”, come diceva il grande Benedetto XVI.
Il linguaggio politico è creato appositamente per far apparire le bugie veritiere e un assassino rispettabile, e per dare un’apparenza di solidità all’aria fresca” : George Orwell di queste cose se ne intendeva.

di Francesca Romana Poleggi

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