30/09/2014

La fidanzata di Berlusconi ed il Paese bigotto

Alla fidanzata di Silvio Berlusconi, Francesca Pascale, che interviene al Gay Village per perorare la causa dei matrimoni gay, delle adozioni e delle coppie omosessuali, diciamo semplicemente che siamo d’accordo. L’Italia è proprio un “ paese bigotto ”, come lei ha dichiarato.

Se fosse un Paese realmente cattolico e non bigotto, non avrebbe introdotto lo sterminio di vite innocenti attraverso la legge che sancisce il diritto all’aborto, le Regioni non si rincorrerebbero tra loro per introdurre leggi sempre più “avanzate” in materia di contraccezione e fecondazione assistita, il Parlamento non avrebbe introdotto il divorzio breve o non consentito di aggiungere al figlio il cognome della madre, al fine di sancire la definitiva distruzione dell’istituto familiare.

Se l’Italia fosse un Paese meno bigotto e realmente cattolico, non concederebbe spazio alla cultura egemone che impazza nella pubblicità, negli sceneggiati televisivi, su internet, nelle scuole, attraverso i protocolli ministeriali che vogliono introdurre la cultura del “gender” o i “consigli” stampati nel Documento Standard di Educazione Sessuale in Europa, promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità in accordo con l’Agenzia governativa tedesca per l’educazione sanitaria, tra i quali quello d’insegnare ai bambini da 0 a 4 anni il piacer della masturbazione e del godimento sessuale.

Se l’Italia fosse un Paese realmente cattolico – e non bigotto – a qualcuno sarebbe potuto venire in mente di promuovere nelle Chiese (tanto per ricordare la dottrina cattolica) la lettura della Prima Lettera di San Paolo i Romani. Scrive il cardinale Giacomo Biffi nel suo libro “Dodici digressioni di un italiano cardinale”: «Riguardo al problema oggi emergente dell’omosessualità, la concezione cristiana ci dice che bisogna sempre distinguere il rispetto dovuto alle persone, che comporta il rifiuto di ogni loro emarginazione sociale e politica (salva la natura inderogabile della realtà matrimoniale e familiare), dal rifiuto di ogni esaltata ‘ideologia dell’omosessualità’, che è doveroso. La parola di Dio, come la conosciamo in una pagina della lettera ai Romani dell’apostolo Paolo, ci offre anzi un’interpretazione teologica del fenomeno della dilagante aberrazione culturale in questa materia: “tale aberrazione”, afferma il testo sacro, “è al tempo stesso la prova e il risultato dell’esclusione di Dio dall’attenzione collettiva e dalla vita sociale, e della renitenza a dargli la gloria che gli spetta (1, 21)”. E aggiunge: “San Paolo si premura di osservare che l’abiezione estrema si ha quando “gli autori di tali cose… non solo le commettono, ma anche approvano chi le fa” (Rm, 1, 32)».

 

Se l’Italia fosse un Paese meno bigotto e realmente cattolico, non plauderebbe al tentativo che da più parti è in corso di abolire la dimensione del peccato e di relativizzare i comportamenti umani in base ai dettati della coscienza, che prescinde dall’esistenza di una legge superiore a qualsiasi legge statale.

Se gli italiani fossero realmente cattolici, non giudicherebbero nessuno – certamente – ma si interrogherebbero un po’ di più sui loro gravissimi peccati di omissione rispetto alla testimonianza della loro fede, che in altri tempi – m anche in tempi recenti, pensiamo al genocidio in corso in Iraq e in molte altre regioni del mondo – ha trovato il suo fondamento nella dimensione essenziale del martirio per la difesa dei principi e della parola di Dio. Sono proprio gli effetti della “modernità” – bene espressi dall’iniziativa dei giorni scorsi del Sindaco di Roma di gemellare il “suo” Gay Pride con quello di San Francisco, “quest’iniziativa offre l’opportunità di ribadire una volta di più l’importanza del riconoscimento dei diritti e della libertà di amare, un diritto che è proprio di tutte le comunità moderne (…)”, ha detto – a riproporre con forza per i cattolici (non per i bigotti) l’esigenza di affermare con coraggio la propria fede.

Danilo Quinto

 

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