03/02/2015

La stepchild adoption è a maggior tutela del minore?

Proseguiamo la nostra analisi dei luoghi comuni e degli pseudo-argomenti a favore dei matrimoni e delle adozioni omosessuali con l’analisi delle giustificazioni che vengono fornite a sostegno della cosiddetta “stepchild adoption”.

Ricordiamo che per “stepchild adoption” s’intende l’adozione del bambino che vive in una coppia dello stesso sesso, ma che è figlio biologico di uno solo dei due. Lo prevede anche un punto specifico del programma di Matteo Renzi: “Famiglie omogenitoriali”.

“Riconoscere ai bambini nati e cresciuti in famiglie omogenitoriali gli stessi diritti di tutti gli altri bambini, a cominciare dal diritto di adozione da parte del genitore non biologico (“stepchild adoption”), similmente a quanto previsto dalle legislazioni tedesca e finlandese. Questa soluzione garantisce l’interesse del bambino in quanto evita traumi nel caso di perdita del genitore biologico e garantisce la possibilità al bambino di non perdere il contatto con la figura dell’altro genitore”.

E’ di pochi giorni fa la notizia che anche la Corte d’Appello di Torino, pronunciandosi su un caso di questo tipo, si è espressa positivamente, sostenendo che «l’interesse prevalente è la tutela giuridica del minore» e decretando così – non senza suscitare un certo sconcerto – che il bambino abbia due mamme.

Considerazioni.

1) Attenzione al linguaggio. Come abbiamo già rilevato nelle precedenti riflessioni, una volta accettato un linguaggio assurdo, che indica come se fossero vere cose realtà inesistenti, le conseguenze non potranno che essere altrettanto illusorie ed assurde. Definire “famiglia omogenitoriale” una coppia di omosessuali è una contraddizione ontologica e linguistica piuttosto evidente. Con “omogenitoriale”, infatti, si pretenderebbe di identificare una coppia di omo-sessuali che è anche genitrice. Quando si coniano tali neologismi completamente scollegati dalla realtà e dal principio di evidenza naturale sarebbe opportuno usare alla lingua italiana la cortesia di non creare ossimori tanto evidenti quanto grotteschi. Genitore, infatti, deriva dal latino genitor (m), deriv. di genitus, part. pass. di gignere ‘generare’. Il genitore è, quindi, colui che genera o che ha generato. Asserire che una coppia di donne o di uomini possano generare (anche in senso figurato) un figlio è – già in partenza – un’inaccettabile contraddizione in termini. Si dovrà quindi parlare di coppia omosessuale, nella quale uno dei due è genitore biologico del bambino: non esistono genitori omosessuali dello stesso bambino.

2) Si parla di “interesse del bambino”, in modo da far sembrare che l’unico fine della stepchild adoption sia esclusivamente la tutela del bambino (che in effetti non ha colpe rispetto alla situazione negativa che si è venuta a creare): se la situazione non fosse negativa, infatti, non ci sarebbero misure straordinarie da prendere a tutela del minore. Qui si dimentica però di ammettere, come premessa di tutto il discorso, che la situazione negativa è stata causata proprio dai due adulti che, per esempio nel caso del concepimento per inseminazione eterologa, hanno volontariamente deprivato il bambino del padre (se si tratta di una coppia lesbica) o della madre (se si tratta di una coppia di gay). Tale premessa è importante, perché da una parte è vero che il bambino si affeziona alle figure che si prendono cura di lui (oltre ai genitori, ai fratelli, ai nonni, agli zii, ma anche ad altre figure senza legame parentale diretto, come per esempio baby sitter, assidui amici di famiglia, insegnanti, e così via) ma dall’altra è innegabile che sono stati questi due “genitori” a mettere il minore in uno stato di privazione e di disagio, rispetto al quale, per l’appunto, viene richiesto un provvedimento legale di tutela.

3) E’ evidente che in una coppia di maschi omosessuali il bambino viene deprivato della madre (e non gli servono quindi altri “padri sociali” oltre a quello biologico che ha già), mentre in una coppia lesbica viene privato del padre (e di conseguenza non servono altre “madri sociali” oltre a quella biologica). Se passasse il criterio che i bambini sono maggiormente tutelati in ragione del numero dei “padri” o delle “madri” aggiuntivi (ricordiamo: che tali non sono se non per designazione linguistica), allora non si vede perché non tutelare tutti i bambini, e non solo quelli inseriti per forza in contesti omosessuali. Infatti in qualsiasi famiglia possono venire a mancare il padre o la madre o entrambi. Cos’è: i figli delle famiglie naturali non hanno diritto alle stesse “maggiori tutele”? Quindi sarebbe logico e lecito pretendere come minimo due padri e due madri per tutti.

4) Viene dunque il sospetto che sotto l’apparente principio etico della “maggior tutela” non ci sia altro che l’ennesimo trucco per inserire forzatamente un bambino in una coppia dove non può essere nato e dove il minore viene privato di uno dei due genitori: dei quali, ricordiamolo, ha non solo diritto naturale ma ha anche vitale bisogno per crescere. Il meccanismo è semplice: prima si depriva il bambino del padre o della madre, mettendolo volontariamente in uno stato di difetto, poi s’invoca la legge per regolarizzare la posizione e garantire le tutele che mancanti. Molto comodo, non c’è che dire.

5) L’assunto indimostrato e comunque inconsistente è che una siffatta doppia tutela del bambino lo difenda maggiormente a prescindere dal problema se una seconda madre possa o meno sostituire il padre. Si dà infatti per scontato che, per esempio, se un bambino viene fatto nascere con l’eterologa e viene cresciuto fin dal primo giorno da una coppia lesbica, di conseguenza si abituerà a considerare entrambe le donne come sue madri. Ma questa è una pura supposizione che non trova fondamento nell’esperienza comune. Madre è solo una, per ciascuno di noi, e se qualcuno cresce con una madre adottiva considererà quella come sua madre. Quando (o se) viene a conoscenza del suo stato adottivo, il bambino saprà che la sua madre biologica è sostituita da quella adottiva, ma non si vede come possa un bambino considerare nello stesso tempo e sotto il medesimo rispetto due donne come la propria madre. A parte che i bambini sanno molto presto – sempre in virtù dell’evidenza naturale – che madre è chi genera, chi dà alla luce, in un caso come questo il piccolo potrà senz’altro voler bene ad entrambe le donne, ma si relazionerà solo ad una delle due come ad una madre. Non basta essere cresciuti da due donne per considerarle entrambe come madri: se valesse questo principio i bambini considererebbero come loro madre tutte le figure affettivamente significative che li circondano: dalle nonne alle zie alle maestre alle baby sitter e via dicendo.

6) Per restare nell’esempio, si proclama l’utilità della stepchild adoption in ragione del fatto che qualora morisse la madre biologica la seconda donna non avrebbe alcun legame giuridico con lui, e dunque il bambino sarebbe orfano. Si dimentica però che il bambino è già stato reso volontariamente orfano di padre e che è un suo diritto non avere “un adulto qualsiasi” che si prenda cura di lui, ma un padre e una madre e se li ha persi un padre e una madre sostitutivi. Se il criterio dell’adozione fosse solo quello del legame affettivo del minore con le figure che entrano nella sua vita, daccapo, dovremmo consentire l’adozione ad un numero imprecisato di adulti che a vario titolo vantano legami affettivi col bambino. Nessuno dice che in caso di disgrazia il bambino debba rinunciare ai suoi legami “familiari”, ma quello che va dato ad un bambino è prima di tutto una famiglia vera, un padre e una madre.

7) In caso di disgrazia, secondo alcuni, si creerebbe per la legge il problema del motivo per cui un bambino dovrebbe stare a casa di un non-consanguineo: proprio così – argomentano i sostenitori della stepchild adoption – si dimostra che è interesse del bambino restare con la “madre” che gli è rimasta, altrimenti anziché perdere una madre finirebbe per perderne due. Ma questo modo di porre il problema è inaccettabile, per i punti n.1, 5 e 6 che abbiamo sopra elencato. Non è che il bambino abbia due madri e una rimanga in caso di morte dell’altra: il bambino ha sempre e solo una madre (quella biologica) e al massimo sarà affettivamente legato alla compagna di lei. Daccapo: i legami affettivi, per forti che siano, non possono determinare alcun automatismo in materia di adozioni. Se fosse vero questo principio dovremmo conseguentemente togliere i genitori a tutti quei bambini che si lamentano di mamma e papà ed esprimono un forte legame per altre figure parentali (magari a quelli che intervistati sostengono di voler più più bene ai nonni) o sociali che siano.

8) Anche lo pseudo argomento dell’eredità non sembra particolarmente stringente. Ci si chiede, sempre restando nell’esempio: “Non sarebbe il bambino defraudato di un diritto all’eredità se la madre non biologica morisse, e fossero altri parenti a spartirsi il patrimonio della madre, anziché il bambino stesso, che la donna ha cresciuto e considerato un figlio?” Qui si dà ancora per scontata l’esistenza reale di una “madre non biologica”: evitando di ripetere per l’ennesima volta gli argomenti dei punti precedenti, non si vede poi per quale motivo un adulto non possa redigere testamento in favore di un minore. Basterebbe in tal senso una modifica in senso rafforzativo delle leggi di successione.

Per questi motivi la “soluzione” della stepchild adoption, lungi dall’essere effettivamente una misura a tutela del minore, appare in realtà come la giustificazione a posteriori di un fatto grave commesso dagli adulti ai danni del bambino. Una soluzione fondamentalmente relativista, la logica conseguenza della fecondazione eterologa, il cui principale corollario è l’ammissibilità del matrimonio tra omosessuali. Se la principale obiezione razionale e giuridica a quest’ultimo riguardava l’impossibilità di procreare, ora con la fecondazione eterologa e l’utero in affitto, l’ostacolo posto dalla legge naturale è tecnicamente aggirato e l’egoismo degli adulti è pienamente soddisfatto. Infatti, se ammettiamo la liceità del concepimento avvenuto con gameti estranei alla coppia, come possiamo negare al partner estraneo al concepimento di diventare padre o madre legale del “prodotto” del concepimento stesso?

In conclusione lo pseudo argomento a sostegno della stepchild adoption sembra filar bene fino a quando non cominciamo a chiederci – come giustamente ci ricorda Francesco D’Agostino dalle pagine dell’Avvenire – se davvero la quantificazione degli interessi possa essere portata avanti all’infinito (qual è infatti il limite? chi lo stabilisce? in base a quali criteri?): “le madri potrebbero essere tre, anziché due (ad esempio se facessimo entrare in gioco un’ipotetica, ma non infrequente, madre “sociale”, la cui maternità non consegue all’offerta né di un ovocita né dell’utero, ma nell’attivare l’intera procedura supportandone le spese). E perché non ipotizzare che le madri possano essere ben quattro, nel caso in cui per puntellare un ovocita patologico si inserisse in esso un’opportuna quantità di Dna estratto dall’ovocita di un’altra donna ben disposta a fare tale dono, in modo da aggiungere alla madre sociale e alla madre uterina ben due madri genetiche?”.

Alessandro Benigni

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