02/08/2013

Legge sull’omofobia è pericolosa, lo dimostra il “caso Negri”

Tristemente scontato l’ingiurioso coro di insulti e improperi indirizzato all’arcivescovo di Ferrara-Comacchio, monsignor Luigi Negri, reo di aver preso una posizione chiara sulla legge contro l’omofobia e transfobia. 
«Divertente ma tragico», «senza nessuna pietà», «quasi umoristico», questo il tenore degli epiteti scagliati a mezzo stampa contro l’arcivescovo di Ferrara, esposto al pubblico ludibrio da personaggi come Flavio Romani, Presidente nazionale dell’Arcigay.

Ciò che è successo è la prova di quanto l’omosessualità sia ormai divenuta un tema ad alta tensione nel senso letterale del termine, per cui è sufficiente toccare i fili per morire. Ed è anche la prova provata del motivo di tanto codardo silenzio da parte di molte altre autorevoli voci. Possiamo anche dire che quanto capitato a monsignor Luigi Negri rappresenta, in senso culinario, l’amuse-bouche di quello che ci attende nella malaugurata ipotesi in cui dovesse essere approvato il disegno di legge contro l’omofobia e la transfobia in discussione alla Camera dei Deputati. Non siamo neppure all’antipasto.

Oggi si continua falsamente a sostenere che quelle norme controverse non intaccherebbero il diritto alla libertà di opinione e di credo religioso sanciti dagli art.19 e 21 della nostra Costituzione. Ma a smentire questa graziosa storiella si è incaricato direttamente lo stesso presidente nazionale dell’Arcigay, affermando candidamente in un’intervista rilasciata al quotidiano La Nuova Ferrara: «Spesso e volentieri esponenti del clero nei confronti degli omosessuali usano parole che sconfinano nel disprezzo e nella violenza. Dare del malato e del depravato a una persona, o attribuire una sorta di inferiorità morale a una minoranza è come fornire un motivo per passare alla violenza».

Questo è il pericoloso argomento con cui – grazie proprio alle norme in discussione – un domani si potrà condannare chiunque sostenesse pubblicamente che è giusto impedire agli omosessuali e ai transessuali l’accesso al diritto di sposarsi e a quello di adottare minori, che l’omosessualità rappresenta una «grave depravazione» secondo le Sacre Scritture della religione cristiana (Gn 19,1-29; Rm 1,24-27; 1 Cor 6,9-10; 1 Tm 1,10), che gli atti compiuti dagli omosessuali sono «intrinsecamente disordinati» e «contrari alla legge naturale», che omosessualità e transessualità appartengono oggettivamente alla sfera etico-morale e possono quindi essere sottoposte ad un giudizio di riprovazione, e che vi sono ambiti nei quali non può considerarsi ingiusta discriminazione il fatto di tener conto della tendenza sessuale (p.e. la collocazione di bambini per adozione o affido).

L’idea che l’affermazione pubblica di simili tesi possa diventare motivo di incitazione all’odio e alla violenza è assai pericolosa. Lo sa bene, ad esempio, un confratello di monsignor Negri. Si tratta di Philip Boyce, vescovo di Raphoe, antica diocesi irlandese fondata da Sant’Adamnano, che a marzo dell’anno scorso è stato ufficialmente inquisito per alcune parole pronunciate durante un’omelia tenuta presso il Santuario di Nostra Signora di Knock, in occasione di una novena mariana. L’accusa formale è stata quella di violazione del Prohibition of Incitement to Hatred Act del 1989, la legge irlandese che contrasta l’incitazione all’odio, a causa di due frasi pronunciate nell’omelia, ovvero quella in cui mons. Boyce aveva sostenuto che la «Chiesa cattolica irlandese è aggredita dalle frecce di una cultura laicista e senza Dio», e quella in cui lo stesso vescovo aveva affermato che «il segno distintivo dei credenti cristiani sta nel fatto che essi hanno una prospettiva futura, perché sanno che, in linea di principio, la loro vita non finirà nel vuoto».

In quelle frasi qualcuno ha voluto intravvedere la «cronica avversione nei confronti dei laici, degli atei, degli agnostici, ecc., che ha portato all’ostracismo di tutti gli altri bravi cittadini irlandesi che non condividono gli obiettivi della pastorale ecclesiastica irlandese diretta dal Vaticano», nonché «l’esistenza di un vero e proprio pregiudizio dei cattolici e dei cristiani in generale nei confronti di agnostici ed atei, imputabile alla propaganda ostile diffusa nelle scuole e nei luoghi di culto dalle Chiese istituzionali». Per questi motivi il magistrato (Director of Public Prosecutions) cui la polizia ha trasmesso gli atti, ha deciso di aprire una formale indagine a carico del vescovo di Raphoe.

Questo è lo scenario futuro che ci attende se a personaggi del calibro del presidente nazionale dell’Arcigay venisse consegnata un’arma legale come il Prohibition of Incitement to Hatred Act 1989, ossia una legge volta a punire l’incitamento all’odio.

di Gianfranco Amato

Tratto da  La Nuova Bussola

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