14/02/2015

L’ideologia gender non esiste?

Molti pontificano sul web che l’ideologia gender non esiste. E’ un’invenzione dei bigotti omofobi, di gente antica e ammuffita...

Sembrano Don Ferrante – quello dei Promessi Sposi – che continuava a negare l’esistenza del contagio di peste, finché non ne è morto.

Invece l’ideologia del gender non solo esiste, e cercano di imporla nelle scuole e non solo, ma è pure costantemente smentita dalle ricerche scientifiche.

Quando recentemente (Aprile 2014) è stata bloccata la distribuzione degli opuscoli UNAR nelle scuole, il Direttivo della Società Italiana delle Storiche ha prontamente scritto una lettera al Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini per denunciare quanto grave fosse stata la capitolazione delle istituzioni di fronte alle pressioni delle gerarchie ecclesiastiche. Nella missiva, oltre la rivendicazione della necessità di avviare nelle scuole programmi di educazione al genere che possano contribuire allo «sviluppo di una società più giusta e tollerante» attraverso la «riflessione sugli stereotipi sessuali», «nel segno di un approccio critico alle idee e ai saperi, di una lotta più consapevole contro le discriminazioni sessuali e l’omofobia», si precisava:

«Non esiste […] una “teoria del gender”. Con questa categoria, usata in modo fecondo in tutta una serie di discipline che ormai costituiscono l’ambito dei gender studies, non si introduce tanto una teoria, una visione dell’essere uomo e dell’essere donna, quanto piuttosto uno strumento concettuale per poter pensare e analizzare le realtà storico-sociali delle relazioni tra i sessi in tutta la loro complessità e articolazione: senza comportare una determinata, particolare definizione della differenza tra i sessi, la categoria consente di capire come non ci sia stato e non ci sia un solo modo di essere uomini e donne, ma una molteplicità di identità e di esperienze, varie nel tempo e nello spazio».

Non è dato sapere come sia possibile affermare che a) “non esiste una teoria del gender” e b) “con i gender studies [si introduce] uno strumento concettuale per poter pensare e analizzare le realtà storico sociali e infine 3) [la “categoria” dei gender studies”] “consente di capire come non ci sia stato e non ci sia un solo modo di essere uomini e donne”, senza concludere ipso facto che siamo non di fronte, ma all’interno di una teoria. Il termine “teoria”, infatti, dal verbo greco θεωρέω (theoréo) “guardo, osservo”, implica già di per sé una prospettiva, un modo di guadare la realtà, il prendere posizione di fronte ad essa. Nell’ambito delle scienze (ed è tutta da discutere l’ipotesi che i gender studies rientrino a pieno titolo in questo ambito) una teoria è un insieme interrelato di ipotesi, enunciati e proposizioni che pretende di spiegare un dato fenomeno. La teoria non è mai solo un’ipotesi descrittiva, ma è sempre implicitamente esplicativa e di conseguenza apre il campo all’intervento umano.

Bludental

“Nella lingua ordinaria – spiega il Dizionario Treccani – il termine [teoria] diventa sinonimo di ipotesi, indica cioè possibilità astratta (ed è quindi contrapposto a pratica), ovvero si riferisce a un modo soggettivo di pensare, a un’opinione”.

E’ interessante notare che perfino la tutt’altro che imparziale enciclopedia on line Wikipedia ricorda come anche un ateo devoto come Michel Onfray, pur appoggiando i diritti LGBT e il femminismo, ha criticato l’insegnamento della teoria gender nelle scuole, sostenendo che sottragga spazio all’insegnamento della filosofia, della lingua e della matematica. In un articolo del marzo 2014 Point ha scritto della «popolare e fumosa teoria del genere (...) della filosofa Judith Butler, che non nasconde l’appartenenza del suo pensiero alla linea decostruttivista». Ha riassunto la sua critica in un intervento radiofonico sostenendo che l’essere umano non è solo cultura, ma anche natura. Egli ha denunciato l’insegnamento della teoria agli studenti, e più in generale un’inversione delle priorità della scuola, spiegandosi poi in molti altri articoli e interviste: secondo lui, la scuola trascura l’istruzione (imparare a leggere, scrivere e contare) e la meritocrazia di base, per la conoscenza educativa (codificazioni, riciclaggio dei rifiuti o la non discriminazione di genere).

In seguito alle polemiche che sono sorte, ha aggiunto anche che la teoria del genere, voluta nelle scuole dal ministro Najat Vallaud-Belkacem, a suo avviso è «pericolosa» e «totalitaria», portando, come esempio dei danni, il caso di David Reimer e l’uso fattone da John Money per dimostrare le sue teorie[2].

Stabilito che ogni ricerca di questo tipo è di per sé teorica, ed è implicitamente ed esplicitamente oggetto di critica, oltre che d’insegnamento – come ha del resto riconosciuto un filosofo ateo del calibro di Michel Onfray – non si può non ricordare che in tutto il mondo occidentale è di fatto operativa, da anni, un’ideologia politica che si ispira direttamente ai gender studies. E non si deve pensare solo all’avvento del matrimonio omosessuale: conseguenze dirette delle teorie del genere sono anche le adozioni in coppie omosessuali (il cui presupposto logico è l’inutilità dell’essere padre-maschio o dell’essere madre-femmina per un genitore, il cui correlato è che si possano avere non solo due “genitori” dello stesso sesso, ma anche più figure genitoriali, “anche diciotto[3], come lucidamente suggeriva Giuseppina La Delfa, presidente dell’associazione Famiglie arcobaleno), nonché la pretesa che in ambito educativo vengano svolti programmi specifici per l’abbattimento delle differenze tra maschi e femmine, fino alla comparsa, anche in edifici pubblici, di appositi servizi igienici per l’inesistente terzo sesso. Inesistente, questa fumosa teoria, eppure capace di imporre notevoli spese, a carico della collettività.

Vengono così alla mente le parole di Margherite Peeters, la quale –  riferendosi alla teoria del gender – si chiedeva ironicamente: “Quale regione del mondo, quale Paese ne è esente? L’ideologia del gender invade i programmi universitari nei cinque continenti. Non è diventata una condizione per l’aiuto allo sviluppo? È ancora possibile che una Ong ottenga fondi pubblici senza menzionare la parità dei sessi? Il gender non ha già integrato alcuni strumenti giuridici, quali il Protocollo di Maputo in Africa? Non è presente nei codici o nelle carte etiche di numerose aziende? La moda non contribuisce in molti modi a seminare lo “scompiglio” nel genere?”[5]

Di fatto non si tratta quindi di soli studi settoriali o di pure teorie, come qualcuno vorrebbe sostenere, ma di qualcosa di più e di ben diverso. La questione è ideologica. Ed il dato è tanto più inquietante quanto più si ricorda – come puntualizza Margherite Peeters – che termini quali “orientamento sessuale” e “identità sessuale” (gender identity) sono delle categorie che non godono di alcuna definizione chiara nel diritto internazionale e non sono oggetto di alcun accordo. Eppure a quanto sembra non ne siamo affatto consapevoli e anzi la governance mondiale non ne tiene in effetti conto e va avanti. Ovunque si registrano forzature sociali, anche piuttosto evidenti, imposte dall’alto, senza il consenso dei cittadini. Tanto che la Peeters può a buon ragione scrivere:

 “(...) l’analisi dimostra che il gender è un processo rivoluzionario centripeta: il nucleo duro attira verso di sé i componenti dei diversi cerchi, li lega alla sua ideologia in proporzione alla loro distanza dal centro e assicura l’unità ideologica dell’insieme. I progetti esteriormente più accettabili finiscono per essere essi stessi contaminati dall’antropologia laicista, individualista ed edonista del centro. Fanno pensare alla formula di Rene Descartes (1596-1650): larvatus prodeo, «procedo mascherato». Il gender procede. Porta la maschera dell’“uguaglianza”, della “parità”, dell’“equità”, della “libertà di scelta”, dei “diritti”, della “dignità umana”, del “progresso”, dell’“autonomia”, dell”‘emancipazione” o “promozione” della donna, della “compassione”, della “lotta contro le violenze”, della “lotta contro la povertà”, della “non discriminazione” e altrettanti concetti altruisti, umanistici o umanitari con i quali molti la legano, seducendo soprattutto i Paesi in via di sviluppo”[6].

Possiamo procedere oltre.

Non solo la teoria del gender esiste e viene anzi imposta dall’alto dalla governance mondiale, ma è pure costantemente falsificata dalle ricerche che si susseguono negli anni, anche se comprensibilmente godono di minor clamore e pubblicità delle fantomatiche “ricerche australiane” (che come si è visto sono vere e proprie bufale travestite da ricerche accademiche)

Commentando l’ultima di queste, come fedelmente riporta Notizie Pro Vita, il sociologo Paul Sullins conferma che i “problemi emotivi [sono] maggiori per i bambini con genitori dello stesso sesso rispetto a quelli con genitori di sesso opposto addirittura con una incidenza più che doppia” e che “non è più lecito affermare che nessuno studio ha trovato i bambini che vivono in famiglie omogenitoriali svantaggiati rispetto a quelli in famiglie eterosessuali.” E’ importante rilevare che questo studio si basa un campione molto più ampio rispetto a quelli di qualsiasi altro precedente studio e i problemi emotivi rilevati gravi, oltre che molteplici, compresi comportamenti scorretti, preoccupazioni, depressione, rapporti difficili con i coetanei e incapacità di concentrarsi.

Per chi fosse interessato ad approfondire, studi e analisi sono disponibili su queste pagine, mentre una nutrita raccolta di studi che confermano la validità e bontà della famiglia naturale, su basi razionali oltre che medico-scientifiche è disponibile anche sulle pagine di uccronline.it.

Alessandro Benigni

 [2] Cfr. Michel Onfray : « Il faudrait des comités d’éthique pour rappeler qu’on ne peut pas tout dire » ». Citato in.

[3] Parole testuali: “La scienza – la psicologia, l’antropologia, la pedopsichiatria – e anche la sociologia e il diritto ormai, per non parlare dei tribunali, dicono tutti la stessa cosa: non importa chi siano i genitori, di quale sesso e di quale orientamento sessuale siano, non importa se siano uno, due o diciotto, importa una sola cosa: la responsabilità, la cura, la presenza, il porre limiti e fare coccole, in due parole: supporto e attenzione. È questo che conta, malgrado i tanti bugiardi che si arrampicano sugli specchi citando sempre gli stessi tre studi rinnegati dalle massime istituzioni scientifiche, e mai le migliaia di ricerche che dicono il contrario.” (http://www.huffingtonpost.it/giuseppina-la-delfa/famiglia-papa-genitori_b_5146043.html)

[5] Marguerite A. Peeters, “Il gender. Una questione politica e culturale”. Edizioni San Paolo.

[6] Marguerite A. Peeters, “Il gender. Una questione politica e culturale”, op.cit.

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