16/02/2016

Matrimonio e legge naturale alla base dell’uguaglianza

In questo secolo ancora giovane sta diventando una questione controversa la natura del matrimonio.

Per capire l’essenza del matrimonio bisogna andare alla radice e chiedersi se gli esseri umani hanno una natura comune.

Se sì, c’è una legge che emerge da quella natura.

E in questa legge è iscritto il matrimonio, l’unione permanente ed esclusiva di un uomo e una donna allo scopo di procreare, educare i bambini e darsi amore e sostegno reciproco. Perché questo è il minimo comune denominatore del matrimonio, fin dalla preistoria, anche nelle strutture sociali più diverse (dove per esempio fosse ammessa la poligamia o la poliandria).

Ma il punto basilare per riconoscere questa essenza comune è ammettere che tutti gli uomini abbiano la stessa natura.

Da dove si evince? Dal fatto che l’essere umano ha la capacità di comprendere le leggi fisiche e morali dell’ordine naturale. Tutti gli uomini hanno le stesse inclinazioni verso il bene, o ciò che essi percepiscono come tale e lo difendono, hanno lo stesso desiderio di evitare il male.

Allo stesso tempo l’esperienza dimostra che l’uomo può avere appetiti o sentimenti che sono in contraddizione con il vero bene. Anche questo “combattimento spirituale” è un dato comune a tutti gli uomini, che ricercano nella vita il vero bene.

Solo se si riconosce a tutti gli uomini questa natura comune si può sancire il principio di uguaglianza basato sulla “pari dignità sociale ” (v. art.3, 1°comma, Cost.)

Solo l’esistenza di una natura comune condivisa tra tutti gli uomini di tutto il mondo nel corso di tutta la storia consente una comunicazione razionale e può far auspicare una relazione fraterna tra tutti gli esseri umani. La comunicazione è possibile perché, al di là delle costruzioni socio-culturali più o meno divisorie, tutti noi possediamo le stesse inclinazioni fondamentali, le stesse angosce e le stesse speranze.

Questa natura comune regola l’agire degli esseri umani, in base a principi che chiamiamo “legge naturale”. Principi che regolano un agire teso a realizzare e completare in pienezza la natura umana in ciascun individuo.

Nella misura in cui una persona agisce in accordo con queste regole, realizza il suo potenziale. Nella misura in cui egli agisce contro queste norme si allontana dal suo vero bene, si dequalifica, si “abbrutisce” (dove “bruto” è esattamente il contrario di “umano”).

La legge naturale è stata a lungo sotto attacco da molte parti.

Alcuni pensatori luterani e calvinisti sostenevano che la natura umana era totalmente decaduta come conseguenza del peccato dei progenitori e quindi non era più in grado di conoscere o riconoscere la legge morale universale. Su questa scia, gli illuministi, in nome della libertà degli individui, sostenevano che l’uomo non poteva essere governato da una legge che egli stesso non avesse riconosciuto e accettato. Da qui è scaturito il soggettivismo e il radicalismo libertario e il rifiuto di una legge morale obiettiva.

Poi, nel corso del diciannovesimo secolo, si è posto l’accento sul fatto che ogni uomo è modellato dalla storia della propria cultura, sicché ci sono differenze profonde tanto da negare l’unicità della sua natura.

Si potrebbe a questo punto rinviare alle questioni relative all’origine biologica dell’essere umano: l’antropologia, la paleontologia e la genetica sempre più depongono per l’unicità della coppia di progenitori da cui deriverebbero tutti gli esseri umani.

Sul punto non si può sorvolare: le differenze, molte delle quali sono davvero profonde e antiche, ma sono sempre e solo accidentali, non sostanziali. Cioè, non sono differenze di natura, ma sempre e solo di  cultura.

Di contro, la perdita di fiducia nella nostra capacità di conoscere la legge naturale lascia l’uomo inerme contro il potere arbitrario della manipolazione ideologica. Chi è al potere cercherà di imporre la sua volontà. Se non abbiamo una  legge di natura che regola il comportamento umano che precede e motivi il diritto positivo, le leggi diventano solo un compromesso tra diversi interessi, tra i quali prevalgono quelli dei più forti, dei più potenti, camuffati da una parvenza democratica. Ne sono esempio le derive totalitarie in cui scade oggi come oggi lo “Stato etico“, lo Stato che pretende di decidere lui, per legge, cosa è bene e cosa è male.

Se la legge umana sovverte la legge naturale la società sarà drammaticamente ferita in ciò che costituisce il suo fondamento. E prima di tutto, se si indebolisce la famiglia, si penalizzano i figli e si rende la società del  futuro fragile e precaria, perché formata da individui deboli e insicuri.

Il  relativismo etico, cioè il rifiuto del diritto naturale a favore della presunta autorità della cultura (variabile) a cui si appartiene, contrasta con le esigenze della legge naturale che sono iscritte nei cuori di tutti gli uomini, è ragionevole e conoscibile con il solo sforzo della ragione umana. Per questo non solo i cattolici difendono la legge morale universale e naturale.

Mons. Ignacio Barreiro Carambula, di Human Life International

(traduzione con adattamenti a cura della Redazione)

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