25/05/2015

Matrimonio gay e fallacie della Vassallo

In una precedente riflessione sul matrimonio gay ho indicato le prime e più evidenti ragioni per cui, già a partire dal titolo, l’ultimo lavoro della filosofa Nicla Vassallo (“Il matrimonio omosessuale è contro natura: falso!”) si presta a ben più di una critica.

Ci sono non pochi elementi che destano sospetto, fin dai primi passi dell’introduzione, dove l’autrice scrive “Contro natura: è uno degli scudi che si leva per opporsi all’introduzione del matrimonio omosessuale”.

Abbiamo visto che non è solo questa la tesi di coloro che si oppongono al matrimonio gay.

Prosegue la filosofa poche righe dopo:

“Nella maggioranza dei paesi del mondo, il matrimonio gay è vietato, nonostante l’articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti umani non affermi che uomini e donne debbano sposarsi tra loro o, più specificatamente, che un uomo debba sposare una donna e viceversa, e quindi non escluda affatto il matrimonio in questione. Impedire il matrimonio a persone del medesimo sesso rappresenta un caso eclatante di violazione dei diritti umani”.

Anche in questo caso si sente però puzza di artificio retorico.

Ed è sbalorditivo che alla studiosa non venga il sospetto che nella Dichiarazione universale dei diritti umani non sia “specificamente” scritto che un uomo debba sposare una donna e viceversa per il banale motivo che all’epoca a nessuno sarebbe passato per la testa immaginare altri tipi di matrimonio.

A me pare che siamo qui di fronte ad una forma di “non sequitur” : dal fatto che nella Dichiarazione universale non sia puntigliosamente specificato che il matrimonio sia da intendersi solo tra uomo e donna non è lecito dedurre (non sequitur) che “quindi” il testo appoggia il matrimonio same-sex.

Banalmente, è assai più logico immaginare che ai tempi in cui la Dichiarazione è stata redatta nessuno sentisse il bisogno di specificare l’ovvio. E, oltre che non vedere la conseguenza logica, direi che siamo pure in presenza di una sfumatura della fallacia detta “ad ignorantiam“, in cui si giustifica la propria tesi con la mancanza di prove del suo contrario.

Ma al di là dell’aspetto tecnico, dobbiamo sottolineare che l’argomento viene svolto, fin dall’inizio, in modo parziale, prendendo acriticamente per buona la sola prospettiva adultocentrica. Basterebbe infatti chiedersi come mai la studiosa si lanci in una acrobatica interpretazione dell’articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti umani senza però ricordare che esiste anche una Dichiarazione universale dei diritti del fanciullo che stabilisce (art. 7) il diritto di ogni essere umano (di ogni bambino) ad avere un padre e una madre, a conoscerli e ad essere da loro allevato.

Forse la filosofa ha dimenticato che il matrimonio è un istituto giuridico che contempla la possibilità di adozione e che nel matrimonio gay il diritto umano dell’articolo 7 citato viene crudelmente negato? O forse dimentica che nella contrapposizione tra (presunti) diritti si deve salvaguardare prima di tutto la parte più debole ed indifesa (in questo caso i bambini)?

E in base a quale criterio di giustizia si pretende di affermare che i bambini non hanno più diritto ad avere padre e madre perché bisogna invece concedere ad adulti same-sex il diritto di farsi dare dei bambini?

Farsi dare, intendo, e prima ancora farsi fare, con tanto di accordo, contratto, compravendita e liquidazione della donna che ha messo il suo utero in affitto. O forse la filosofa ha dimenticato che è questo, e non altro, quello che già succede nella realtà e che si vorrebbe rendere legittimo attraverso l’introduzione legale del matrimonio gay?

Niente da fare. Nessun accenno alla questione. Anzi, appena pochi paragrafi più avanti un altro scivolone che da un’esperta di epistemologia non ci saremmo davvero mai aspettati:

“Né approfondirò – glissa la Vassallo – altri studi di matrice biologica, etno-antropologica, giuridica, psicologica, psicoanalitica o sociologica, che pure dimostrano (sic!) l’insensatezza della negazione in questione”.

E fa bene a non citarli. Casomai volesse citare qualche studio dovrebbe infatti rivolgersi alla matematica, o al massimo alla logica, in quanto né biologia, né etno-antropologia, né tantomeno la psicologia, la sociologia, la giurisprudenza, per non parlare della Psicoanalisi, sono in grado di “dimostrare” qualcosa. Né in generale né tantomeno relativamente alla questione matrimonio same-sex.

Va bene abolire tutte le differenze, anche contro l’evidenza, ma almeno la differenza tra scienze dure e scienze molli ci aspetteremmo venisse mantenuta, per lo meno da una professoressa che vanta studi importanti in campo epistemologico.

Ma tant’è. Per la Vassallo “per scardinare i tanti pregiudizi sul matrimonio gay basta partire dalla convinzione della necessità di eguaglianza (intesa come assenza di discriminazioni) e di equità (intesa come giusta distribuzione di benefici e responsabilità) tra gli esseri umani”.

Ed anche qui sfuggono alla prestigiosa filosofa gli effetti più immediati ed evidenti delle sue affermazioni. Come dire: per garantire uguaglianza ed equità tra gli adulti è accettabile anche deprivare i bambini di padre o di madre? Perché, daccapo, è esattamente questo quello che avviene.

Fosse finita qui, potremmo pensare anche ad una imperdonabile svista, in buona fede. Se non fosse che la Vassallo si lancia subito dopo in una strepitosa parentesi, totalmente scollegata sia dalla realtà che dal problema che stiamo discutendo. Il matrimonio gay, infatti, andrebbe rifiutato (o accettato) a prescindere da quanto afferma la religione (sia la cattolica o altre), per l’evidente motivo che si tratta di una legge della Repubblica italiana e che lo Stato è – fino a prova contraria – uno stato laico e non teocratico.

Scrive la filosofa: “Nel nostro paese la religione cattolica, la più diffusa, influenza la legislazione, la società e le credenze delle persone al punto di decretare l’illiceità del matrimonio same-sex”. A parte il fatto che è un’affermazione apodittica tutta da dimostrare (come spiegare, per esempio, come mai in questo paese così terribilmente influenzato dai cattolici ci sono leggi sul divorzio, sull’aborto, etc.?), quand’anche fosse vera, cosa ci sarebbe di straordinario? Non è lecito che i cittadini votino i loro rappresentanti e quindi le leggi in base ai loro convincimenti più profondi? O forse non è più legittimo avere una propria visione della vita, del bene, del male?

Bludental

Detto questo, la nostra si lascia andare all’ennesimo artificio retorico, connesso alla fallacia logica detta “dell’avvelenamento del pozzo”: “la Chiesa – scrive la Vassallo – prima di questa teoria, si è trovata ad avallare matrimoni di tipo privato, spesso clandestini, illeciti, privi di consensualità, tra pre-puberi, ove le violenze più diverse, a volte efferate, non rappresentavano una rarità. Si predica bene e si razzola male? Sarebbe preferibile non predicare”.

Quand’anche fosse vero, che c’entra? Da quando in qua la verità di una tesi o di un’idea dipende dalla coerenza di chi la proclama?

Tra parentesi ricordiamo che nella fallacia “dell’avvelenamento del pozzo” si prova a screditare quello che una persona sostiene presentando informazioni (vere o false) a discredito di essa. Questa “argomentazione” ha la seguente forma:

1) Vengono presentate informazioni (vere o false) a discredito della persona A.
2) Quindi qualunque affermazione A faccia sarà falsa.

Ammesso e non concesso – s’intende – che la Chiesa non sia coerente nel suo Magistero (fatto che, nonostante le acrobazie sofistiche della Vassallo, non solo non è dimostrato, ma nemmeno pertinente col tema centrale di questo discorso, ovvero le conseguenze disumane e folli del “matrimonio per tutti”, a partire dalla fabbricazione di bambini in laboratorio, dall’impianto in uteri affittati e quindi dalla mercificazione della vita umana, ridotta ad oggetto di transazione economica) qual è la relazione logica tra ciò che la Chiesa afferma sul matrimonio gay e la sua bontà dal punto di vista morale o la sua equità dal punto di vista giuridico?

Alessandro Benigni

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