07/03/2016

Morte genera morte. Per chi non lo comprende, ecco i numeri

In Oregon, da quando nel 1997 fu approvata la legge che regolamenta eutanasia e suicidio assistito, si assiste ad una costante crescita dei casi di morte procurata.

È quanto emerge, ancora una volta, dal report annuale che analizza l’applicazione del “Death with Dignity Act”, la legge sulla morte con dignità.

La morte genera morte, insomma. Nel 2015 i casi registrati sono stati 132. L’anno precedente furono 105, dieci anni prima 38, il primo anno di applicazione della legge le morti furono 16.

In realtà, tuttavia, nell’anno appena concluso sono state addirittura 218 le persone che hanno avuto la prescrizione medica per poter ottenere le sostanze con le quali suicidarsi. La differenza tra il numero di prescrizioni e le morti ufficialmente registrate è data da diversi fattori: per alcuni pazienti sopraggiunge la morte naturale prima dell’assunzione dei ‘farmaci’ letali; per altri potrebbe trattarsi dell’attesa del momento opportuno (le morti saranno così registrate nel 2016); per altri ancora si tratta di un mancato censimento nelle statistiche ufficiali.

Uno scenario nebuloso, da cui emerge però un fatto molto chiaro: la legalizzazione della morte procurata comporta inevitabilmente un cambio culturale negativo. Eutanasia e suicidio assistito diventano la normalità, penetrano nel tessuto sociale di uno Stato e per il malato darsi la morte è quasi un dovere.

eutanasia_Oregon_morte

Anche in merito alle motivazioni espresse dai pazienti non mancano gli elementi preoccupanti. Una legge approvata per concedere la morte di Stato al fine di alleviare il dolore fisico – un obbrobrio già di per sé – diventa in breve tempo il cavallo di troia per eliminare il malato sulla base delle più svariate considerazioni. Secondo il report, infatti, sono pochissimi i pazienti che hanno citato il dolore fisico insopportabile come base della richiesta di essere uccisi. Le tre principali ragioni sono risultate essere: la perdita della capacità di svolgere attività che rendono piacevole la vita (citata nel 96% dei casi), la perdita di autonomia (92%) e la perdita di dignità (75%).

Tutte ragioni che hanno origine nella debolezza umana – oggi sempre più eclatante per via del venir meno dei valori su cui basare la propria esistenza – e che riconducono all’incapacità dello Stato di prendersi realmente cura del malato, che dunque è lasciato solo e incapace di trovare una ragione alla propria esistenza precaria.

La legge che apre alla morte su richiesta non è dunque altro che una risposta disumana alla debolezza umana. E per essere contrari all’eutanasia non serve essere credenti, anzi: ci sono anche molti ragioni laiche per opporsi a tale pratica.

Questa lezione, dati alla mano, ci viene anche da tutti gli altri Paesi che si sono dotati di una legge analoga: Belgio (che comincia ad interrogarsi), Olanda, Stato di Washington non fanno eccezione con il loro inarrestabile dilagare dell’eutanasia, che trova applicazione per una sempre più ampia casistica ben oltre i paletti – già essi stessi precari – della legge.

Anche l’Italia deciderà di salire sulla carovana della morte, che ha come unico scopo quello di portare la società verso il baratro?

Carlo Cristofori

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