27/07/2013

Negri: Legge omofobia, si va verso il totalitarismo

«Questo della legge sull’omofobia è un fatto gravissimo, è la sconfitta dello Stato laico e l’affermarsi di una nuova tendenza totalitaria. E in tutto questo la cristianità sembra assente». E’ quanto afferma monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio in questa intervista a La Nuova Bussola Quotidiana, primo pastore italiano a prendere chiaramente posizione su questo tentativo di far passare con una procedura d’urgenza la legge anti-omofobia che – come La Nuova BQ sta documentando da settimane –  è una legge contro la libertà di espressione e contro la libertà religiosa.

Monsignor Negri, perché una legge sull’omofobia è un fatto gravissimo? Intanto questa legge è un’ammissione di impotenza da parte dello Stato.

In che senso? In tutta questa vicenda ci sono delle questioni sostanziali che vengono ridotte o addirittura dimenticate. La prima è che alla coscienza dell’uomo della strada – quale io sono – non è affatto chiaro perché lo Stato abbia bisogno di difendere particolarmente una certa categoria di cittadini. Questa legge in sostanza dice che ci sono dei cittadini che devono essere difesi nei loro diritti al di là dei diritti che ogni cittadino italiano gode per il fatto che è parte della società italiana. E’ evidente allora che c’è una debolezza dello Stato: è come se lo stato dicesse che c’è bisogno di qualcosa di eccezionale per consentire a questi cittadini italiani di vivere adeguatamente i loro diritti di cittadini. Il che mi sembra obiettivamente una cosa assurda. In ogni caso nessuna spiega in che cosa questi cittadini omosessuali – pratici o teorici che siano – devono essere particolarmente difesi. E vorremmo sapere quali sono le ragioni di necessità obiettiva, culturale, storica e sociale per cui si invoca questa situazione di eccezionalità. Perché anche situazioni di fatto, retaggio del passato e che comunque in Italia sono un fenomeno abbastanza ridotto, sono più che altro segno di inciviltà e di barbarie che si aiuta a risolvere con l’educazione e non con le leggi.

Peraltro lo si fa con una procedura d’urgenza, lasciando indietro situazioni che ogni cittadino può giudicare ben più importanti: la crisi economica, il lavoro, la lentezza della giustizia. E infatti non si comprende questo carattere di urgenza, un’urgenza tale da autorizzare la presentazione di un disegno di legge che – lo si vede dalle reazioni –  apre scenari impegnativi. E qui entra un secondo punto di estrema gravità, ovvero la strada che si è scelta per questa difesa di una categoria particolare.

Si riferisce al reato d’opinione? Esattamente. Perché la strada che si è scelta poco o tanto finirà per adombrare nel nostro paese il reato di opinione. E qualsiasi, pur frettoloso, studioso della realtà sociale e politica dell’Europa sa che il reato di opinione non è un segno né di democrazia né di una concezione ampia e seria della vita sociale. Nel caso specifico, accadrà che il solo esplicitare le ragioni per cui in forza di precise convinzioni di carattere personale, sociale, culturale, religioso si ritiene che l’omosessualità sia una realtà non condivisibile, metterà in una posizione di discriminazione. Il cattolico, per esempio, che ritiene in perfetta buona fede sul piano della sua esperienza personale di appartenenza alla grande tradizione della Chiesa cattolica che l’omosessualità sia un fatto di disordine, potrà essere addirittura inquisito perché metterebbe in crisi i diritti della minoranza-maggioranza omosessuale.

In sostanza lei dice che a essere discriminati sarebbero coloro che, ad esempio, ritengono ingiusto il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Si aprirebbe una discriminazione gravissima di carattere teorico ancorché pratico fra le varie opinioni presenti nel nostro paese. E questo ci riporterebbe a una situazione più o meno implicita di dittatura. Ricordo che la laicità della nostra vita sociale è ribadita in maniera esplicita dalla Carta Costituzionale che ha messo fine a un periodo di dittatura dove i delitti di opinione erano all’ordine del giorno. Ora si vorrebbe  che una opinione, che delle opzioni di carattere sociale vengano di fatto privilegiate dallo Stato al punto che chi in qualche modo ha delle obiezioni di carattere culturale e religioso su queste posizione corre il rischio di essere considerato reo di delitti o di reati di opposizione a una convinzione che non può e non deve essere messa in discussione. In una situazione autenticamente laica e democratica non ci devono essere posizioni che non possano essere discusse, che non possano essere accettate e che possano essere vissute con piena libertà in una vita sociale che proprio nella diversità delle posizioni trova la sua ricchezza.

Però la Costituzione vieta anche delle opinioni. Certo, la Costituzione ha stabilito ben prima di questo disegno di legge che ci sono delle opinioni che possono e debbono essere contestate dallo Stato, ma si tratta di quelle che mettono tra i loro principi fondamentali e i loro obiettivi la distruzione della situazione culturale e sociale che caratterizza il nostro paese. Non è certo questo il caso. Pare evidente quindi che questi iper-apostoli – se può essere usata questa espressione – questi cittadini le cui convinzioni non possono e non debbono essere messe in discussione, rappresentano un fatto di anomalia e quasi una metastasi nella vita della nostra società. La nostra società vive se tutti i nostri cittadini italiani possono essere veramente liberi di vivere, di esplicitare, di attuare nella vita sociale quelle convinzioni – anche le più diverse – che hanno raggiunto per un cammino personale di coscienza, di approfondimento, di educazione, in cui consiste la loro identità profonda.

Insomma lei ritiene che questa legge, se passasse, ci farebbe scivolare verso una nuova forma di totalitarismo. Mi pare oggettivo che si stia risvegliando una tendenza totalitaria nella vita sociale dello Stato, perché tutte le volte che in una situazione sociale e politica si privilegia una posizione a danno delle altre, che vengono in qualche modo ridotte quando non negate, si crea una ferita nella vita democratica e laica del paese. Vorrei ricordare a quei signori che hanno presentato questo disegno di legge e a maggior ragione a tutti quelli che si preparano a discuterne che il Novecento, il XX secolo, è terribilmente ricco di esperienze sociali in cui dei cittadini sono stati privati della loro libertà di vivere esplicitamente le convinzioni profonde della loro esistenza e sono stati addirittura privati della vita perché le loro convinzioni erano considerate negative o minacciose per lo stato, fascista o comunista che fosse.

Oggi domina il laicismo... …Che ha una doppia faccia: la faccia di una realtà che ha intrapreso una battaglia anche lunga per l’affermazione dei principi fondamentali della laicità del paese, della società e dello Stato; ma – e questo è innegabile storicamente a meno di negare l’evidenza – dal laicismo è sorta anche quella tendenza di carattere totalitario sul piano ideologico e politico per cui la gente è stata privata crudelmente della propria possibilità di esprimere i propri diritti. Questo semplicemente perché le loro convinzioni non coincidevano con le convinzioni di taluni che lo Stato o il Partito aveva fatto proprie e riteneva assolutamente indiscutibili. E tali convinzioni si imponevano a tutti i cittadini con la forza della violenza di stato.

C’è però da dire che anche tra i cattolici non pare esserci un giudizio chiaro e univoco. E’ indubbio che mentre il Paese è impegnato per volontà dei legislatori e del Parlamento in uno snodo difficilissimo della sua vita sociale sembra che la cristianità italiana non sia presente. E per cristianità intendo la realtà istituzionale della Chiesa, le realtà laicali, le realtà associative, tutto il complesso del popolo di Dio che vive oggi in Italia, senza evidenziare maggiori o minori responsabilità. La cristianità non è presente con una chiarezza di motivazioni, con una chiarezza di identità. La libertà è un valore assolutamente unico e indivisibile, bisogna lavorare per la propria libertà – ci invitava Giovanni Paolo II – perché lavorare per la propria libertà è lavorare per la libertà di tutti, accettare di ridurre o perdere la propria libertà è perdere e ridurre la libertà di tutta la società.

Lei dice che non c’è una chiarezza di motivazioni, eppure la Dottrina sociale della Chiesa è molto chiara su questi punti. Avremmo infatti tutta la forza del Magistero sociale che non ha mai fatto sconti di fronte alle pretese delle istituzioni, qualunque esse siano, di intervenire nello spazio della libertà di coscienza personale.  Le proprie preferenze culturali, le proprie preferenze sessuali, le proprie pratiche sessuali sono un fatto che attiene alla libertà della coscienza individuale, personale, di gruppo, non sono una competenza dello Stato. Se lo Stato interviene non importa se per difendere o attaccare le concezioni e pratiche di carattere personale o sessuale, compie lo stesso errore di identificare la sua azione in campi in cui non può e non deve intervenire. In questa vicenda della legge sull’omofobia c’è dunque in gioco la libertà della coscienza personale e sociale, c’è in gioco la laicità dello Stato. Per la cristianità italiana è una grande occasione per una testimonianza corale.

Intende la necessità di una battaglia? Non si devono scomodare termini verso i quali c’è una assoluta e motivata idiosincrasia – battaglia, confronto, e così via – ma certamente è necessaria una testimonianza corale della cristianità. Proprio la passione per la nostra identità di fede ci rende appassionati per la vita e la democraticità del paese. Come ricordava Giovanni Paolo II nella terza, straordinaria, parte della Redemptor Hominis, proprio per l’esperienza di fede ecclesiale che viviamo noi siamo buoni cristiani e autentici cittadini del nostro paese, senza nessuna riduzione e senza nessuna discriminazione.

Lei crede che un ripensamento del Parlamento sia ancora possibile? Quello che è in gioco è sostanziale, per cui mi auguro che prevalga quella famosa cosa che Manzoni diceva essersi perduta o essersi nascosta durante la grande querelle sulla peste di Milano: il buon senso. Mi pare che ci voglia una grande iniezione di buon senso da parte di tutti quelli che intervengono in questa vicenda, che non ci siano scompensi di carattere demagogico, populistico, che non fanno bene al nostro paese, già così provato dal punto di vista della identità culturale e sociale.

di Riccardo Cascioli

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