23/07/2013

Omofobia, la battaglia degli emendamenti

Contrastare la legge cosiddetta “antiomofobia” significa condurre una vera e propria battaglia di civiltà. Il senso della “valanga” di emendamenti presentati in Commissione giustizia alla Camera per consentire il rinvio al 26 luglio dell’esame del provvedimento da parte dell’assemblea di Montecitorio è tutto racchiuso in questo obiettivo.

Occorre impedire, infatti, l’introduzione nel nostro ordinamento di norme che pretendendo di difendere una serie di diritti, già tutelati dalla disciplina penale ordinaria, finiscano per violare, in nome di interessi di parte di poche ma influenti lobby, i diritti inviolabili della persona costituzionalmente garantiti.
Gli “ispiratori” di questa legge, nonché i suoi più strenui difensori, sul presupposto, del tutto strumentale, che l’aumento di episodi di intolleranza nei confronti delle persone omosessuali richiedesse uno strumento repressivo più “severo” rispetto a quello previsto per altre forme d’intolleranza, stanno di fatto facendo scempio del dettato costituzionale.

Anzitutto, il primo principio costituzionale a subire un grave vulnus è quello di uguaglianza sancito dall’art. 3. Se come prescrive la norma “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, la ragione per cui le persone omosessuali debbano beneficiare di un diverso trattamento più “favorevole” è di mero carattere ideologico.

Stessa sorte toccherà anche al principio di tassatività (art. 25): contravvenendo al dettato costituzionale, in base al quale un sistema penale deve fondarsi su dati oggettivi, per la nuova normativa saranno penalmente rilevanti due elementi, entrambi soggettivi e transitori, come la “percezione di sé” quanto al genere, “anche se opposto al proprio sesso biologico”, e “l’attrazione” verso il proprio o l’altro o entrambi i sessi.

Infine, altre due gravissime violazioni sono quelle che riguardano la libertà religiosa e la libertà di pensiero, di cui rispettivamente agli art. 19 e 21 della Costituzione. Solo per fare un esempio della portata liberticida della legge “antiomofobia”, le conseguenze penali per coloro che intraprendessero un’iniziativa pubblica per spingere il legislatore a non varare una legge che autorizzi il matrimonio omosessuale (tra l’altro escluso dallo stesso dettato costituzionale), così come per coloro che osservando le sacre Scritture e attenendosi al magistero della Chiesa definissero l’omosessualità quale atto intrinsecamente “disordinato” sarebbero la reclusione da 6 mesi a 4 anni.

Se a ciò si aggiunge l’ulteriore “sfregio”, evidentemente ispirato ai metodi di rieducazione dei detenuti politici nella Russia bolscevica, della pena accessoria della prestazione d’opera non retribuita a favore della collettività, che nello specifico potrebbe essere rappresentata dalle stesse associazioni gay, lesbiche o transgender, si comprende bene come la battaglia politica che stiamo conducendo intende porsi come argine non solo alla deriva laicista che sta erodendo i pilastri fondanti su cui poggia la nostra società, a partire dalla famiglia “naturale”, ma anche alla progressiva privazione dei diritti e libertà fondamentali.

Anche per questo, abbiamo presentato oltre 200 emendamenti al fine di creare un dibattito articolato in un momento in cui i sostenitori di questa proposta di legge vogliono mettere il “silenziatore” per far approvare la legge senza che l’opinione pubblica capisse nulla. La battaglia così intrapresa ha rallentato il velocissimo iter programmato dai “vertici” di questo progetto ideologico e speriamo serva a far guadagnare tempo utile alla compattazione delle forze sociali e politiche che di certo sono minoritarie in questo Parlamento ma che altrettanto certamente sono maggioritarie nel Paese.

di Alessandro Pagano – Parlamentare, eletto alla Camera dei Deputati nelle liste del PDL

 

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