20/11/2016

Persona: autodeterminazione, autenticità e scelte morali

Che ne è, oggi, della persona e delle sue scelte?

Nel 1993 l’enciclica Veritatis Splendor di Giovanni Paolo II rilevava che oggi, perduta la nozione stessa di bene universale, conoscibile dalla ragione, si tende a concedere «alla coscienza dell’individuo il privilegio di fissare, in modo autonomo, i criteri del bene e del male e agire di conseguenza». Questo comporta che l’esigenza di verità dell’etica si è indebolita, in favore di un criterio di autenticità, di sincerità e di “accordo con se stessi“, divenuto all’opposto imprescindibile. Pertanto, i contenuti concreti dell’agire dipenderebbero, per la loro qualificazione morale, esclusivamente dall’autocomprensione della persona.

Ne consegue che tutte le opzioni hanno identico valore, purché liberamente assunte. È, in sostanza, la scelta che legittima, che valida la scelta in se stessa, al di là di quello che si sceglie e al di là anche del perché si sceglie. Come ha scritto R. Lucas Lucas: «Il solo precetto morale è agire liberamente. La moralità non riguarda più il contenuto dell’azione in rapporto alla soggettività della persona, ma la sola motivazione soggettiva della persona» (Orizzonte verticale, 2007).

In questo contesto, la libertà – come già accennavo qui si pone come condizione non solo necessaria, ma anche sufficiente, dell’agire morale: «Tutto ciò che è compiuto liberamente è di per se stesso conforme all’uomo e pertanto intrinsecamente morale» (R. Lucas Lucas, Orizzonte verticale). Il bene e il giusto sono, quindi, certificabili non tanto nelle azioni che l’uomo fa, ma nel come l’uomo fa, dove il come coincide con il grado di autonomia con cui il soggetto agisce. Rientrano in questo modello etico la rivendicazione dell’aborto libero, dell’eutanasia libera, della fecondazione artificiale senza restrizioni di sorta, nonché le teorie del gender. Siamo all’assolutizzazione del principio di autonomia della persona, che è poi il punto qualificante delle posizioni libertarie della bioetica laica.

In tal caso, si rende pure evidente che il principio bioetico dell’autodeterminazione del malato è una diretta conseguenza del principio etico dell’autodeterminazione dell’individuo. Vincoli, subordinazioni, regole o, come affermano i laicisti, restrizioni, alle scelte della persona non sono semplicemente ammissibili.

Corollario dell’autonomia sono l’auto-trasparenza e l’integrità dell’io che sostanziano l’altro cespite del modello etico-antropologico libertario: l’autenticità. Questa, come scrive il filosofo canadese Charles Taylor, «È essa stessa un’idea di libertà, in quanto implica che io trovi da solo, contro gli imperativi del conformismo esterno, il disegno della mia vita». Seguire le tendenze spontanee nell’agire è sufficiente per essere morali.

Ma, se l’autenticità costituisce il metro di valutazione dell’etica dell’autodeterminazione, l’autorealizzazione ne costituisce il fine. L’auto-realizzazione individuale si qualifica come scopo della vita: compimento ed espletamento della libertà. Si ha ormai, come scrive ancora Ch. Taylor, «un’accezione puramente personale dell’auto-realizzazione, con la conseguenza che le svariate associazioni e comunità di cui il singolo è partecipe sono ridotte al rango di meri strumenti».

La realizzazione della persona, assurta a valore primo e assoluto, viene poi generalmente declinata in senso materialistico ed utilitaristico. Ne abbiamo un riscontro da un un’altra enciclica i Giovanni Paolo II, l’Evangelium vitae (1995). «L’unico fine che conta – vi si legge – è il perseguimento del proprio benessere materiale. La cosiddetta «qualità della vita» è interpretata in modo prevalente o esclusivo come efficienza economica, consumismo disordinato, bellezza e godibilità della vita fisica, dimenticando le dimensioni più profonde – relazionali, spirituali e religiose – dell’esistenza». I nostri legami con gli altri, come pure gli imperativi morali esterni, possono entrare in conflitto con lo sviluppo personale. Le esigenze di carriera possono risultare incompatibili con gli obblighi verso la famiglia o con la fedeltà ad una causa più vasta. Nessun problema! La vita è più facile, se uno riesce a trascurare questi vincoli esterni, a relativizzarli, a non darsene pena.

Tuttavia, c’è un punto critico in questa posizione etica. Esso emerge nel momento in cui si va a considerare l’uso della libertà, e cioè le azioni che si accompagnano al suo esercizio. È un problema questo che ha dimensioni individuali e collettive. Infatti, esso è emerso storicamente dopo la caduta dei sistemi totalitari, quando intere società si sono improvvisamente ritrovate libere. «Ciò su cui oggi si fa leva è la sola libertàosservava K. Wojtyla nel suo ultimo libro-intervista Memoria e identità del 2004 –. Si dice: ciò che importa è essere liberi, del tutto sciolti da remore o vincoli, così da muoversi secondo i propri giudizi, che in realtà sono spesso soltanto capricci. È chiaro: un liberalismo di tal genere non può essere qualificato che come primitivo. Il suo influsso è comunque potenzialmente devastante».

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Il punto è che una concezione della libertà sganciata da riferimenti a criteri non meramente individualistici “distoglie l’attenzione dell’uomo dalle responsabilità etiche” (K. Wojtyla, Memoria e identità). Perché la libertà è una proprietà della volontà umana che si esplica nella tensione dinamica fra una mozione individuale ed un fine da realizzare. Ora, dal momento che la volontà è fallibile, intenderla come libera indifferentemente e assolutamente, la fa sconfinare nell’arbitrio. A muoverla e a determinarla potrebbero esserci, infatti, anche il capriccio egoistico o, peggio ancora, la protervia e la prevaricazione. «Se io sono libero – scriveva sempre Karol Wojtyla – vuol dire che posso fare un uso buono o cattivo della mia libertà. Se la uso bene, a mia volta divento per questo più buono, e il bene da me realizzato influisce positivamente su chi mi circonda. Se invece ne laccio un uso sbagliato, ne verranno il radicamento e la diffusione del male in me e nell’ambiente circostante» (Memoria e identità).

La questione del giusto uso della libertà si collega allora con una riflessione necessaria sul tema del bene e del male, perché solo una riflessione in merito può ristabilire il giusto equilibrio fra volontà individuale e contesti sociali, relazionali e, quindi, fini e realizzazioni non meramente individuali. E si deve notare che proprio tale tipo di riflessione sembra essere scomparso dall’ambito etico. In particolare, detto per inciso, pare cancellato dall’agenda morale contemporanea ogni riferimento alla realtà del male, alla sua radicale concretezza, alla sua quasi insuperbile presenza nell’agire umano.

Il punto conclusivo è che la libertà non può darsi come inizio, né a livello etico né a livello politico, perché essa è un medio di cui è titolare necessariamente un soggetto concreto, in carne e ossa, una persona esistenzialmente limitata e fallibile. Ma se il soggetto che decide, che sceglie, è fallibile e contemporaneamente libero, allora egli è anche responsabile, nel senso che è sempre chiamato a rispondere di quello che fa. E rispondere implica un porsi in confronto con un altro, un relazionarsi ad un tu cui non possiamo non dare ragione delle nostre azioni.

Clemente Sparaco


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