28/06/2013

Promuovere la vita e la famiglia senza combatterne i nemici, anzi assieme a loro?

Spesso gli articoli dei giornali imitano certa pubblicità ingannevole, presentandosi con titoli e slogan seducenti e rassicuranti, ma fatti apposta per nascondere al lettore superficiale l’insidioso e preoccupante contenuto degli articoli stessi. Perfino certa stampa cattolica talvolta usa toni attraenti e intransigenti che nascondono posizioni o strategie minimaliste, compromissorie, rinunciatarie. Ad esempio, la ossessiva retorica della “sfida” da raccogliere ha spinto i cattolici a impegnarsi sul terreno e nella strategia scelti dal nemico a proprio vantaggio, il che li ha portati dapprima a perdere battaglie e poi a non tentare rivincite ritenute impossibili. Abbiamo oggi un nuovo esempio di questo inganno riguardante la battaglia per la vita e per la famiglia: un esempio che sembra fatto apposta per avvilire, isolare e disarmare quel nuovo movimento di denuncia e di protesta, rivelatosi nelle recenti grandi manifestazioni parigine e romane, che ha dimostrato di essere indipendente da trame mediatiche, partitiche o ecclesiastiche.

Dicevamo dei titoli ingannevoli. “Difendere l’uomo, una sfida in attacco”, s’intitola una intervista concessa pochi mesi fa al quotidiano Avvenire (28-2-2013) da mons. Renzo Pegoraro, appena nominato Cancelliere della Pontificia Accademia per la Vita. “Per la famiglia, vera”, s’intitola una intervista concessa recentemente allo stesso quotidiano (20-6-2013) dal prof. Giorgio Campanini, noto sociologo della famiglia, consulente della C.E.I., cattolico di sinistra discepolo di Mounier e di Dossetti. Ma titoli così incisivi e apprezzabili sono smentiti dal contenuto di quelle stesse interviste.

Liberarsi dalla “sindrome difensivista”?

Mons. Pegoraro afferma: «prima di tutto, non dobbiamo parlare in termini di difesa. Dobbiamo promuovere la vita, tutto ciò che accoglie e incoraggia lo sviluppo e la realizzazione della vita. E’ molto più corretto parlare di promozione e meno di difesa».

Il prof. Campanini conferma: «Occorrerà difendere ancora i valori della famiglia; ma assai più importante sarà (…) fare proposte concrete alla società civile, mirate alle “famiglie normali”, (…) la cui crisi porrebbe problemi assai più seri e gravi di quelli provocati da incentivi alle coppie di fatto o gay». Di conseguenza, il sociologo propone di «abbandonare questa sorta di sindrome difensivista e affrontare i problemi delle coppie e delle famiglie “normali”».

Dunque, secondo queste due personalità, coloro che insistono nel combattere i nemici della vita e della famiglia, smascherandone le insidie e ostacolandone le trame, disperdono tempo e forze in cose secondarie. Pertanto essi non rendono un buon servizio alla santa causa, la quale consiste semplicemente nel promuovere i valori della vita e della famiglia assicurandone condizioni favorevoli, senza pretendere di contrastare i mercanti di morte e di dissoluzione. Prevenire i mali o ridurne i danni non è forse meglio che reprimerli o pretendere di risanarli? Perché mai dunque impegnarsi in battaglie già perse o comunque perse in partenza, come quella contro l’aborto o la fecondazione artificiale o il “matrimonio” omosessuale? E’ invece meglio limitarsi a ridurne i danni, col vantaggio di evitare spiacevoli incomprensioni e divisioni nel popolo, e pericolose rivalse e persecuzioni da parte dei potenti fautori dei “diritti civili”.

E così, dopo aver da tempo rinunciato all’attacco per ripiegare nella sola difesa, ora si prevede di rinunciare anche alla difesa per ripiegare nella sola “proposta positiva”.

Liberarsi dall’ “abbraccio mortale” della Destra?

Mons. Pegoraro afferma: «La vera minaccia oggi è la perdita del senso della sacralità della vita», ma proprio per questo «trovo riduttivo un approccio basato sulla difesa di alcuni aspetti» della questione a scapito di altri non meno importanti. Infatti «dobbiamo rispettare e promuovere la vita in tutti i momenti. Dobbiamo pensare anche a temi come lo sviluppo, la guerra e la violenza, le discriminazioni e l’abbandono, le emarginazioni su basi razziali»; e fa l’esempio della disabilità come campo sul quale intervenire prioritariamente. Del resto, da tempo la propaganda promossa dalla CEI nei messaggi pubblicitari trasmessi sui canali televisivi elude la missione salvifica della Chiesa per parlare solo di quella umanitaria.

Da parte sua, il prof. Campanini ritiene che la promozione della vita e della famiglia sia ormai giunta a una situazione di stallo per colpa della strumentalizzazione fattane dalla Destra, che l’avrebbe stretta in un «abbraccio mortale» sottraendola al “dialogo” e dandole toni “da crociata” che hanno sollevato contrapposizioni irriducibili. (Si noti che qui si allude non alla Destra politica – che quasi non esiste più e che da tempo diserta le battaglie morali – bensì alla Destra sociale e culturale, che ancora resiste alle sirene del cedimento). Il nostro sociologo quindi propone che il mondo cattolico si liberi dai condizionamenti destrorsi e s’impegni a coinvolgere la Sinistra in una politica pro vita e pro famiglia; ma ciò è possibile solo inserendo questa politica nel generico piano di sostegno ai soggetti sociali “deboli” ed “emarginati” e di lotta alle “disuguaglianze” e alle “discriminazioni”.

Dunque, secondo queste due personalità, coloro che s’impegnano a risolvere le questioni bioetiche risanandone le piaghe sociali (aborto, contraccezione abortiva, fecondazione artificiale, eutanasia, droga…), disperdono tempo e forze in cose secondarie. Pertanto essi non rendono un buon servizio alla santa causa, poiché riducono un vasto problema sociale a suoi aspetti meramente settoriali o alle sue conseguenze bioetiche; invece i problemi etici si risolverebbero facilmente se prima si risolvessero quelli sociali: ad esempio, quando “nessuno si sentirà escluso”, nessuno ricorrerà all’aborto o all’eutanasia. Pertanto, la promozione umana degli emarginati (poveri, immigrati, carcerati, “discriminati” vari) e la lotta alle prevaricazioni sociali (sfruttamenti, inquinamenti, repressioni, guerre) sarebbero problemi più importanti e urgenti della difesa della vita e della famiglia; l’intervento ecclesiale quindi dovrebbe privilegiare la promozione della “dignità umana” e dei “diritti umani” in tutti i loro aspetti culturali, sociali, economici.

Verso una svolta rovinosa?

Com’è noto, vivere significa scegliere, stabilire priorità che favoriscono alcune cose trascurandone altre, il che vale anche per una pastorale ecclesiale e per un programma politico. Per quanto laconiche, le dichiarazioni che abbiamo sopra esaminato sembrano preannunciare un netto cambiamento di strategia ecclesiale nella politica culturale e nella pastorale della vita e della famiglia, mediante una duplice riduzione. L’impegno pro vita et familia verrebbe ridotto al suo aspetto propositivo a scapito di quello difensivo, rinunciando a contrastare la cultura di morte denunciandone i responsabili e combattendone le manovre. Inoltre, la pastorale ecclesiale verrebbe ridotta alla promozione sociale della “dignità umana” e dei suoi “diritti civili”, per cancellare ogni forma di disuguaglianza e di discriminazione, adeguandosi quindi al programma stabilito dalla rivoluzione in corso e auspicato dalla Sinistra politica.

Si finirà dunque col rinunciare ai “valori non negoziabili”? O almeno col ridurli alla “promozione umana” lanciata dalla Sinistra ecclesiale in un noto convegno romano degli anni Settanta? La difesa della vita e della famiglia non sarà più priorità irrinunciabile e verrà trascurata per favorire lotta alle disugaglianze e alle discriminazioni? Oppure verrà salvata a prezzo della resa ai nuovi “diritti civili” come la genitorialità artificiale e la “famiglia” omosessuale?

Se questo si realizzasse, si tratterebbe di una svolta davvero rovinosa. Sarebbe una sconfitta per la buona causa, per la Chiesa e soprattutto per i diritti di Dio. Occorre essere ben vigilanti per impedire che il recente risveglio di una certa coscienza religiosa e la riscossa di alcune realtà ecclesiali vengano deviate e disarmate da questa strategia di ripiego e di rinuncia che porterebbe solo alla graduale ma sicura resa al nemico del genere umano.

di Guido Vignelli

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