13/11/2013

Sono troppi gli obiettori di coscienza?

I giornali politicamente corretti gridano allo scandalo quando rilevano l’aumento dei medici obiettori di coscienza. Ripropongono allora le solite bugie che ci propinano da 30 anni e di tanto in tanto ne inventano di nuove

Sorpresina: l’attacco alla 194 arriva dai pro choice!
Che ti fa la Confederazione Generale Italiana del Lavoro, il potente sindacato, più conosciuto con la sigla CGIL?
Presenta un ricorso al Comitato Europeo dei Diritti Sociali contro l’obiezione di coscienza all’aborto. Secondo gli estensori del ricorso, l’articolo 9 della legge, che riconosce e regolamenta il diritto del personale sanitario a dichiarare obiezione di coscienza all’aborto, viola la carta sociale europea. Il motivo risiederebbe nella mancanza di medici abortisti in tutti gli ospedali italiani.
Da qui, sempre secondo i sindacalisti italici, deriverebbe un ingiusto carico di lavoro per i ginecologi non obiettori e un ostacolo per le donne al libero accesso all’aborto.
Si sarebbe tentati di affermare che tanto zelo avrebbe meritato miglior causa, ma voglio qui limitarmi a svolgere qualche riflessione. Partiamo dai dati. Il numero e la percentuale dei ginecologi obiettori di coscienza all’aborto sono effettivamente aumentati, ma questo non significa che siano diminuiti di molto i ginecologi che praticano gli aborti. Erano 1831 nel 1982 e sono 1668 nel 2010, una diminuzione pari appena all’8,9%. Questo però non significa assolutamente che debbano compiere un surplus di lavoro.
In prima istanza, infatti, gli aborti non vengono eseguiti come “lavoro straordinario”, ma durante il normale orario. Quindi quando il ginecologo abortista fa gli aborti, il collega obiettore effettua le mansioni che vengono lasciate scoperte in quel momento dal non obiettore. È quindi illogico identificare un presunto danno per il ginecologo abortista causato dall’obiezione di coscienza dei colleghi. Inoltre i numeri ufficiali riferiti al parlamento italiano dal ministro della salute indicano che negli anni il carico di aborti è diminuito sensibilmente. Gli aborti legali erano, infatti, 234.801 nel 1982, ma nel 2010 sono stati 115.981. Ne consegue che per i ginecologi non obiettori il carico di aborti, che era pari a 128 nel 1982 è sceso a 69 nel 2010, una diminuzione di poco meno del 50%. Evidentemente questo calo del carico di aborti non è ritenuto soddisfacente. Poiché la procedura per isterosuzione impegna il ginecologo per circa 10-15 minuti, si può valutare che un ginecologo non obiettore abbia un carico di aborti corrispondente a 14 ore l’anno, corrispondente a un “impressionante” 0,9% dell’intero orario di lavoro.
E l’efficienza nell’eseguire l’aborto?
L’indicatore di “qualità” (uso il termine in quest’ambito con un certo disgusto) dei servizi abortivi è individuato nella percentuale di donne che ottengono la procedura entro 14 giorni dal rilascio del documento per abortire (in pratica entro una settimana poiché la legge prevede una settimana di riflessione). I dati consentono il confronto solo per 11 regioni su 20. Se nel 1989 il 79% delle donne abortivano entro 2 settimane, nel 2010 la percentuale è scesa solo al 62%. Che poi tutti gli ospedali debbano offrire l’aborto non si capisce dove la CGIL l’abbia trovato scritto. A ben vedere si tratta della solita nenia degli abortisti. In America, patria mondiale dell’aborto libertario, secondo una ricerca del centro studi abortista Guttmacher Institute, sui 5801 ospedali censiti nel 2001 soltanto 603 offrivano l’aborto. Sono ammirato: in certe zone d’Italia per una mammografia si aspetta magari un anno, ma la CGIL volge l’attenzione a superare gli standards americani dell’aborto.
Ricapitolando, i ginecologi che fanno gli aborti hanno un carico di lavoro quasi dimezzato, ma impiegano più tempo a fare gli aborti: la colpa di chi è?

di Renzo Puccetti

Blu-Dental

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