17/01/2016

Utero in affitto. “Tutto diventa merce”, sia la madre che il bimbo

Ancora una volta Diego Fusaro (questa volta su Il Fatto Quotidiano) prende nettamente posizione contro l’utero in affitto.

E’ sempre interessante riflettere sulle considerazioni di un filosofo marxista, progressista e certamente non cattolico: è il segno che in certe questioni di bioetica la ragione naturale è universale (come il buon senso, del resto) e dovrebbe essere seguita da tutti, a prescindere dallo schieramento politico e dalla professione di una religione.

Dopo aver costatato che oggi chi si oppone all’utero in affitto “[...] subito è bersagliato dal coro virtuoso dei benpensanti come retrogrado, oltranzista, antimoderno e, naturalmente, ‘omofobo’, l’etichetta più in voga nel tempo della neolingua e della polizia dei costumi“, Fusaro spiega come sia ingannevole la presentazione della bieca pratica schiavista operata dai media di regime: “A un primo sguardo, sembrerebbe una pratica emancipativa, da salutarsi con gioia [...], che permette di diventare mamma anche a chi, per vari motivi, non potrebbe diventarlo. Se non fosse che, nel tempo dell’ipocrisia universale, si omette – guarda caso – di specificare l’aspetto fondamentale e cioè che a regolare questo passaggio, per cui una donna cede il proprio utero a un’altra, è la fredda logica del do ut des liberoscambista. Utero in affitto, appunto. Mercificazione del corpo.

Il capitale, che un tempo si arrestava ai cancelli delle fabbriche, oggi si è impadronito della nuda vita: utero compreso. L’economia si è impadronita della vita, facendosi bioeconomia: ha rimosso il confine tra ciò che è merce e ciò che non lo è né può esserlo.
Il vecchio slogan femminista “l’utero è mio, me lo gestisco io”... è oggi stato riadattato dal capitale in funzione della sua sola norma, la valorizzazione del valore: l’utero è tuo e ‘puoi’ affittarlo a chi vuoi.

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... Ma il ‘puoi’ in questione è sempre quello della società di mercato: “puoi”, in realtà ‘dovrai’. ‘Puoi’, perché nessuno te lo impone, né te lo vieta. ‘Dovrai’, perché sarà la tua condizione socio-economica a importi di farlo per poter sopravvivere, per poter arrivare a fine mese. Le donne indigenti diventeranno – non è difficile prevederlo – i luoghi futuri della maternità, di quella pratica che richiede troppa responsabilità e fatica per la società di mercato, per i suoi ritmi e le sue carriere di manager rampanti. Vivranno mettendo in affitto il loro corpo. La logica del capitale è, in fondo, questa: abbattere ogni limite etico, morale e religioso, per poi imporre ovunque, senza barriere residue che possano frenarla, la legge dell’onnimercificazione e del valore di scambio. Tutto diventa merce, aveva avvertito Marx nel 1847, in Miseria della filosofia. Perfino l’utero, dobbiamo riscontrare noi”.

Niente da dire sulla lucida analisi critica della logica del capitalismo selvaggio e materialista. Solo un’omissione possiamo imputare a Fusaro. Una dimenticanza che è comune anche tra le femministe che si sono schierate contro il mercato degli uteri: il bambino.

Ecco: vorremmo che  Fusaro ricordasse che con l’utero in affitto (ma anche con la fecondazione artificiale in genere) il bambino diventa un oggetto di diritto, una cosa da assemblare,  selezionare, scartare, surgelare, e – in ultima analisi –  comprare pret à porter.

La fecondazione artificiale lo priva del diritto di essere concepito e custodito da subito nel grembo di una donna con cui immediatamente comincerebbe a comunicare; sarà frutto di un atto masturbatorio del padre, anziché di un amplesso d’amore. Sarà privato di un numero imprecisato di fratelli (quelli che vengono scartati, restano surgelati o comunque non ce la fanno. Degli embrioni impiantati ne sopravvivono 8 su 10).

E se poi l’utero che lo ospiterà sarà un utero mercenario, appena nato (o poco dopo, che è anche peggio) verrà staccato dal corpo che lui conosce come “mamma”, che l’ha custodito nove mesi, e verrà dato ad un corpo perfettamente sconosciuto ( emagari non avrà mai più una mamma, neanche adottiva, se sarà stato comprato da due uomini). Ma il dolore che tutto questo gli avrà causato noi non lo sapremo mai, perché lui non sa dirlo.

Orecchio non sente, cuore non duole“.

Francesca Romana Poleggi

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