20/01/2016

Vita e morte: ecco perché vale la pena lottare per la prima!

Sono due storie simili ma nello stesso tempo molto diverse quella di Brittany Maynard e quella di JJ Hanson. In comune hanno il fatto di essere due storie di vita che inducono a riflettere su quanto non sia affatto scontato aprire gli occhi tutte le mattine.

Il caso di Brittany, infatti, ha mobilitato gli Stati Uniti sul tema dell’eutanasia. Brittany era una bella ragazza ventinovenne quando si è ammalata al cervello di un cancro tra i più aggressivi. La malattia di Brittany era già al quarto stadio, e le lasciava poche speranze di sopravvivenza. In tutto le rimanevano pochi mesi di vita.

Così Brittany decide di iniziare la sua “battaglia”, attraverso i media, per ottenere l’eutanasia e per chiedere che in ogni Stato della federazione venisse legalizzata quella che viene definita la “morte con dignità”. Come da lei programmato, dopo pensamenti e ripensamenti, però, che sollevano qualche perplessità, Brittany è morta il primo novembre 2014.

Hanson è invece un giovane ex marine, al quale è stato diagnosticato lo stesso tumore di Brittany, ma che ha affrontato la malattia in modo totalmente diverso. Anche a lui avevano detto che gli sarebbero rimasti soltanto quattro mesi di vita. Ma a differenza della Maynard, Hanson non ha iniziato una battaglia mediatica per porre fine alla sua esistenza, ma ha scelto di combattere per la vita: come fece Maggie Karner, quando Brittany era ancora viva.

Dopo vari tentativi e trattamenti, e dopo una lotta con la malattia durata 20 mesi, ora il cancro di Hanson sta recedendo. E sta lasciando dietro di sé la forza di parlare agli altri malati con parole di speranza e contro pratiche eutanasiche, contro l’introduzione di ulteriori leggi che permettono la “dolce morte”.

Parlando della Maynard, Hanson la definisce un “cattivo esempio per coloro che sono affetti da questa forma di cancro al cervello”. Perché, ha proseguito il giovane, “quando vedi le persone arrendersi, gran parte delle tue forze per combattere contro la malattia ti abbandona”.

Molto meglio seguire l’esempio di Hanson e scegliere la vita. Non “il coraggio” di uccidersi, ma il coraggio di combattere ed essere testimone di speranza per gli altri. “Il valore e la dignità della vita non dipendono da quanto tempo la vita viene vissuta, dalla sua qualità o da quanto si è sofferto: ogni vita ha valore a prescindere”, dev’essere questo che ha pensato Hanson. Dev’essere qui che ha trovato la forza per lottare e sconfiggere la sua malattia, e dare così speranza a tanti malati.

Anastasia Filippi

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