26/05/2015

Matrimonio gay – L’Irlanda, la Chiesa, il ddl Cirinnà

Il 24 maggio la cattolica Irlanda, attraverso un referendum popolare, ha modificato la propria Costituzione, dicendo “Sì” al matrimonio omosessuale.

La notizia, seppur attesa e prevedibile, è un assist formidabile in Italia per i sostenitori del ddl Cirinnà e si abbatte come uno tsunami sul già fragile e precario stato della Chiesa cattolica, esortata da ogni parte ad aggiornare la propria dottrina “fuori tempo”, facendo i conti con la realtà.

Il leitmotiv, ripetuto all’infinito nelle ore successive all’esito del referendum irlandese, recita infatti: la Chiesa apra una volta per tutte gli occhi, anche la cattolicissima Irlanda ha approvato il matrimonio omosessuale, ora tocca all’Italia.

Il referendum ha posto, ad oltre 3 milioni di irlandesi, un quesito chiaro: «Volete che sia emendato l’articolo 41 della Costituzione del 1937, con l’inserimento di una nuova clausola nella sezione “Famiglia”?». Nello specifico tale clausola affermava: “Il matrimonio può essere contratto, in accordo alla legge, da due persone senza distinzione di sesso”. Il 62,1% degli aventi diritto al voto ha risposto sì, mentre il no si è arrestato al 37,9%. Nel complesso i voti a favore sono stati 1.201.607 e quelli contrari 734.300.Bludental Il premier Enda Kenny, sedicente “cattolico praticante”, ha definito il risultato irlandese «pionieristico», sottolineando il cambiamento epocale intercorso nello spazio di poco più di vent’anni.

Se nel 1993, l’omosessualità era infatti considerata ancora un reato, oggi, cinque anni dopo l’approvazione in Parlamento della legge sulle unioni civili, l’Irlanda è il primo Paese al mondo a dire sì ai matrimoni tra persone dello stesso sesso per via popolare.

Lo storico voto irlandese, se da un lato rappresenta uno straordinario e indiscutibile successo delle forze LGBTQ, impegnate da mesi a tutto campo in una incessante e martellante propaganda in nome dell’eguaglianza e dei diritti sessuali, dall’altro lato, rappresenta una altrettanto disastrosa ed eclatante debacle delle associazioni impegnate in difesa della famiglia, con al primo posto la Chiesa cattolica irlandese, indebolita e intimidita dagli scandali sessuali e per questo rimasta in disparte nel lungo e infiammato dibattito politico che ha preceduto la votazione di domenica.

Il referendum ha visto dunque affrontarsi forze impari. La campagna messa in piedi dai sostenitori del “Sì” è stata senza precedenti ed ha potuto godere di un decisivo appoggio politico trasversale, supportato dall’intero sistema culturale e mass-mediatico. Lo stesso governo irlandese aveva astutamente addolcito e mascherato la pillola, tenendo fuori dalla discussione referendaria lo spinoso argomento delle adozioni, in realtà già discusse e approvate con una legge entrata in vigore lo scorso 6 aprile 2015.

Un abile espediente strategico per ottenere tutto, dal matrimonio alle adozioni per coppie dello stesso sesso, in piccole ma efficaci dosi. La mobilitazione LGBTQ è stata massiccia, gli attivisti sono andati a prendere i votanti casa per casa, dando vita inoltre ad una ampia ed incisiva campagna sul web che attraverso l’hashtag #hometovote è rapidamente rimbalzata su tutti i principali social network e spinto migliaia di irlandesi, residenti all’estero per lavoro o per studio, a tornare in patria per mettere la loro X sulla scheda.

Dall’altro lato, nonostante il generoso e lodevole impegno di diverse associazioni pro-family, con in prima fila lo “Iona Institute”, è mancato il decisivo appoggio della Chiesa cattolica che ha optato per una, ahinoi, perdente strategia di basso profilo, preferendo di non andare allo scontro frontale con le armi spuntate.

L’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, all’indomani della sonora sconfitta del “No” ha parlato di rivoluzione sociale e culturale in atto, dichiarando: “Ci dobbiamo fermare, guardare ai fatti e metterci in ascolto dei giovani. Non si può negare l’evidenza. (…) Quanto è accaduto non è soltanto l’esito di una campagna per il sì o per il no, ma attesta un fenomeno molto più profondo, una rivoluzione culturale. E’ un cambiamento notevole i cui effetti concreti sono imprevedibili”. L’arcivescovo ha proseguito con delle dichiarazioni arrendevoli, all’insegna di un discutibile realismo, “La Chiesa deve chiedersi quando è cominciata questa rivoluzione culturale e perché alcuni al suo interno si sono rifiutati di vedere questo cambiamento. È necessario anche rivedere la pastorale giovanile: il referendum è stato vinto con il voto dei giovani e il 90 per cento dei giovani che hanno votato sì ha frequentato scuole cattoliche”.

In Italia, le uniche dichiarazioni della Santa Sede sono state quelle pronunciate da Monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della CEI, il quale sembrava minimizzare il disastro irlandese, limitandosi a specificare come la Chiesa non accetti «equiparazioni» tra le unioni omosessuali e quella che il segretario della CEI piuttosto che famiglia tradizionale preferisce chiamare, «famiglia costituzionale». Secondo mons. Galantino, è necessario ripartire dalla ragione attraverso un confronto libero da «forzature ideologiche», adottando quella che, a suo dire, è l’unica strada percorribile, il metodo sinodale: «Che su questi temi prevale un delirio dell’emotività e un sonno della ragione. Il Papa sta dicendo cose splendide, sul metodo sinodale, nel senso letterale di “syn” e “odós”: percorrere insieme la stessa strada. Sarebbe l’unico metodo serio per arrivare a una soluzione che sia in linea con il bene comune nel rispetto dei diritti di ciascuno».

Il voto irlandese ha avuto immediate e scontate ripercussioni sul dibattito attualmente in corso in Italia attorno al ddl Cirinnà sulle unioni civili appena uscito dalla Commissione Giustizia di Palazzo Madama con 4.320 emendamenti. Il leader di Sel Nichi Vendola ha parlato di «lezione di civiltà» da un Paese dove «vince la bellezza del diritto di avere diritti, vince l’amore contro i pregiudizi, vince la libertà contro l’oscurantismo». La presidente della Camera Laura Boldrini ha affidato al solito tweet il suo pensiero, lanciando un appello: «È tempo che anche l’Italia abbia una legge sulle unioni civili. Essere europei significa riconoscere i diritti». Anche il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, rispondendo ad alcune domande dei giornalisti sulle nozze gay ha illustrato la linea del governo in tema di diritti omosessuali, affermando: «L’Irlanda ha scelto questa strada e noi un altro percorso comunque valido e che garantisce la valorizzazione di un diritto. Su questi temi il Pd è protagonista e credo che subito dopo il voto saranno affrontati fino in fondo per approvare una buona legge». Alla fine ci ha pensato direttamente il premier Renzi a rassicurare tutti, promettendo che molto presto anche l’Italia si adeguerà, seguendo però il modello tedesco: “L’Italia ha una proposta di legge presentata dalla senatrice Cirinnà, e sarà votata tra luglio e settembre. Anche in questo caso replichiamo il modello tedesco, diverso dal modello irlandese. Credo che possa funzionare e avere i voti in Parlamento”.

Come si è arrivati a ciò? come è stato possibile che la patria di San Patrizio, un tempo culla della cristianità, si sia così facilmente consegnata al “nemico”, diventando paradossalmente un avamposto dei diritti omosessuali. Al di là dell’indiscutibile e fondamentale appoggio delle potenti lobby gay e del imperante mainstream culturale, una chiave di volta decisiva sembra essere stata la strategia fallimentare della Chiesa Cattolica che ha rinunciato a combattere ancora prima di scendere in battaglia. Una resa decisiva, che viene da molti emblematicamente riassunta nella celebre frase di Papa Francesco “Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?”, la cui strumentalizzazione ha prodotto le catastrofiche conseguenze sono oggi sotto gli occhi di tutti.

Rodolfo de Mattei

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