25/08/2014

Aborto e suicidio – Il caso irlandese

Molti ricorderanno come, l’anno scorso, in Irlanda, paese tradizionalmente cattolico e contrario all’ aborto, dopo una serie di pressioni interne ed esterne, fu approvato la “Protection of Life During Pregnancy Bill” (Atto di Protezione della Vita durante la Gravidanza). Così gli irlandesi vedevano l’ aborto entrare nel loro ordinamento anche se in casi relativamente limitati: in caso di pericolo per la vita della madre e, punto più discusso, in caso di rischio di suicidio della madre.

Recentemente la controversa “clausola sul suicidio” ha trovato applicazione per la prima volta, in un caso che ha messo a nudo tutti i problemi e le contraddizioni legati all’ipotesi contemplata dalla legge. I fatti sembrano (dico “sembrano” perché ben sappiamo con quanta cautela bisogna prendere casi del genere, strumentalizzati dai media e dalle lobby pro-morte) essersi svolti in questo modo: una giovane donna extracomunitaria rimane vittima di uno stupro nel suo paese d’origine e in seguito, mentre si reca in Irlanda per cercare asilo, scopre di essere rimasta incinta. Viene mandata all’IFPA (Irish Family Planning Association, affiliata a Planned Parenthood) dove le viene detto di andare in Inghilterra per praticare l’ aborto, visto che in quelle circostanze la legge irlandese non l’avrebbe permesso. La donna, pensando di non poter sostenere il costo del viaggio e terrorizzata dall’idea che la sua famiglia potesse scoprire lo stato di gravidanza, decide di togliersi la vita: tenta il suicidio ma, per fortuna, non riesce a portarlo a termine.

A quel punto, un amico le suggerisce di far leva sulla cosiddetta “clausola sul suicidio” comunicando alle autorità giudiziarie che si trova a rischio suicidio proprio a causa della gravidanza. I medici confermano il punto di vista della donna e, riconoscendo che il caso concreto integra la fattispecie di cui alla Sezione 9 del “Protection of Life During Pregnancy Bill”, prende avvio la procedura di “interruzione della gravidanza”.

La continuazione della storia mostra tutta l’ambiguità della formula “interruzione della gravidanza” e le aporie presenti nella nuova legislazione irlandese. Infatti una gravidanza si può “interrompere”, in linea teorica, per vari motivi, tra cui l’ aborto , ma non solo: anche il parto “interrompe” naturalmente il processo della gravidanza, così come il parto indotto prima del termine normale. “Interruzione della gravidanza” nell’uso comune, però, coincide di solito con aborto, ed è un esemplare di quella neolingua mortifera che fa passare con formule dolci o asettiche le più terribili realtà: l’uccisione del bambino nel grembo della madre. Tuttavia, si sa che le disposizioni legislative, se non sono sufficientemente chiare, danno luogo a diverse interpretazioni, spesso inconciliabili: nel caso specifico, i medici hanno interpretato “interruzione della gravidanza” come possibilità di porre fine alla gravidanza di quella donna con un parto indotto. L’interpretazione aveva in realtà un solido fondamento: la Costituzione irlandese, all’articolo 40, 3.3, sancisce che “Lo Stato riconosce il diritto alla vita dei bambini non ancora nati e, tenendo debitamente in conto il diritto equivalente della madre alla vita, garantisce che le leggi rispettino e, nella misura del possibile, difendano e sanzionino quel diritto”. Essendo la gravidanza in fase avanzata e il bambino viabile, i medici hanno ritenuto che provocando un parto pre-termine avrebbero meglio soddisfatto le esigenze dell’ordinamento, nonostante il tenore letterale della riforma del 2013. Soluzione, però, che la donna ha dapprima fortemente osteggiato. In questo modo i medici hanno “interrotto” la gravidanza, per la prima volta sulla base della “clausola sul suicidio”.

 

Gli abortisti (in particolare alcuni parlamentari laburisti) non hanno mancato di strumentalizzare la vicenda, chiedendo addirittura l’abrogazione dell’art. 40, 3.3. della costituzione, in modo da sciogliere l’equivoco e riaffermare che, secondo il “Protection of Life During Pregnancy Bill”, “interruzione della gravidanza” indica sempre e solo l’ aborto . Invece, le associazioni prolife irlandesi, come Family & Life, hanno chiesto l’abrogazione della normativa abortista, evidenziando come, nel peggiore (ma più frequente) dei casi, l’applicazione della legge è destinata a concludersi con la soppressione del bambino, mentre nel migliore dei casi si fa nascere un bambino prematuro, probabilmente destinato a patire per lungo tempo le conseguenze, e senza una reale giustificazione medica. Mons. Kevin Doran ha dichiarato al Irish Independent che “la rimozione del bambino dal grembo materno in quel contesto è immorale … è meglio che abortirlo, ma non è naturale”.

Quanto al dramma di una madre che avesse la reale e gravissima intenzione di suicidarsi a causa della gravidanza, gli abortisti si stracceranno le vesti se diciamo che anche in questo caso non si può ammettere l’ abort o. Eppure è così: il pericolo di suicidio (così come l’ipotesi in cui il pericolo per la vita dipenda da altre cause), il cui accertamento è peraltro molto delicato, non può giustificare la soppressione diretta di un innocente o un atto contro la legge naturale. Il problema può porsi:  tuttavia, per quanto drammatico, non può essere risolto uccidendo il figlio, ma aiutando la donna con un percorso soprattutto di tipo psicologico (il vero problema è il suo stato mentale, non l’esistenza del suo bambino). Del resto, abbiamo già mostrato su questo sito che una soluzione come la “clausola sul suicidio” non è solo immorale ma anche inutile e controproducente: l’ aborto, infatti, aumenta il rischio di suicidio (vedi quiqui e qui), e quindi una donna che già prima o durante la gravidanza era psicologicamente predisposta a quest’atto estremo, potrà esserlo ancora di più dopo l’eventuale aborto.

Alessandro Fiore

 

Blu Dental

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