09/03/2015

Adozione: il bimbo non lo vuole nessuno? Lo diamo a due gay.

L’Huffington post ci colpisce al cuore con la storia di questo ragazzino brasiliano rifiutato da tre famiglie perché “brutto e nero” ed infine dato in adozione ad una coppia di omosessuali.

Colpisce per la profonda tristezza del caso che – realmente accaduto o no che sia – indica fino a che punto oggi abbiamo perso tutti la bussola. Le foto ritraggono il ragazzino sempre sorridente, in compagnia dei due uomini, in atmosfera ludica: in spiaggia, alla festa di carnevale, in giardino a giocare col cane.

C’è da chiedersi se siamo impazziti.

E’ questa, la nuova famiglia?

Oltre l’interpretazione immediata di questa volgare messa in scena c’è ben altro. Lo scatto estemporaneo che cristallizza un lampo di divertimento, in una storia di abbandono, non può infatti sostituirsi alla nuda e cruda realtà, al significato generale di questa vicenda.

Esso ci parla di una storia di solitudine, in cui – sempre se la notizia corrisponde a realtà – il legame con la famiglia è tre volte spezzato. Una prima volta: con la perdita della famiglia originaria. Una seconda volta, col rifiuto (presunto tale) di una famiglia sostitutiva, con un padre e una madre che possano svolgere per lui quel ruolo simbolico e relazionale fondamentale per crescere ed individuarsi. Una terza volta, con l’impianto nella casa di due omosessuali, dove, ancora una volta la famiglia è negata. Si noti con attenzione: in questa coppia di omosessuali, la madre dov’è? Non è che se ne sia andata, deceduta o altro. Non è mai esistita, né mai esisterà.

E dove non c’è – e non c’è mai stata – una madre, di conseguenza non può esserci nemmeno un padre. Quindi il bambino non è in una famiglia, ma in affido a due adulti.

Potrebbero essere tre o diciotto amici (come indicava Giuseppina La Delfa), o altri gruppi: il discorso non cambierebbe di una virgola. E – sia chiaro – non nego che questi due uomini possano provare sentimenti di amore genuino nei confronti del ragazzo: nego che al minore sia stata data una famiglia, una struttura strutturante data dalla complementarietà del valore simbolico e relazionale delle figure di padre e madre. Detto per inciso: si può essere fotografati in un momento di divertimento anche con la squadra di calcio o con gli amici, in gita scolastica. Questo non ci dice nulla della situazione reale, così come una foto di un bambino sorridente non ci dice se questo bambino è davvero rispettato nel suo diritto naturale ad avere un padre e una madre o due sostituti (non variamente assortiti).

Riepilogando: 1) il bambino che richiede di essere adottato ha subito un danno gravissimo; 2) il bambino adottato ha, più degli altri, bisogno di un padre e una madre; 3) l’abbandono è vissuto dal bambino come una ferita molto profonda, accentuata dalla percezione della diversità oggettiva della propria condizione rispetto a quella della maggior parte dei coetanei; 4) il bambino abbandonato cerca i suoi punti di riferimento in un padre e una madre – come qualsiasi altro bambino – e aspira a ritrovare ciò che ha perduto; 5) nel più profondo di se stesso, visceralmente, egli desidera riavvicinarsi alla cellula base che gli ha donato la vita: un padre e una madre; 6) il bambino adottato deve assumere i traumi simultanei dell’abbandono e della doppia identità familiare; 7) più di un altro, il bambino ha bisogno di una filiazione biologica evidente. Poiché, più di un altro, non crede di discendere dal frutto di un amore. Qualcosa è andato storto e teme di non essere stato desiderato: non ha gli occhi di nessuno e non si riconosce in nessuno della sua famiglia di accoglienza; 8) è inoltre frequente che il bambino adottato rigetti uno dei due sessi.

E’ dunque fondamentale che possa identificarsi a due genitori di sesso differente: a sua madre, poiché ha bisogno di riconciliarsi con la donna; a suo padre per conoscere la presenza di un uomo senza cui sua madre non avrebbe potuto avere bambini.

Per questi fatti, evidenti, l’adozione da parte di una coppia omosessuale aggrava di fatto il trauma del bambino abbandonato, anziché attenuarlo, in quanto la catena della filiazione viene almeno doppiamente spezzata: nella realtà dei fatti dal suo abbandono, nella simbolica dal fatto dell’omosessualità dei suoi genitori adottivi. Se poi viene spezzata tre volte, come in questo caso, il danno è ancora maggiore.

A un bambino già profondamente ferito dal suo passato, si ha il diritto di imporre di adattarsi alla situazione affettiva dei suoi genitori, differente sia da quella della maggioranza degli altri bambini sia da quella che egli aspira a ritrovare? Incombe forse sul bambino adottato il dovere di adattarsi alle scelte di vita affettiva dei suoi genitori?

Occorre ripeterlo: l’adozione esiste per dare una famiglia con padre e madre ad un bambino, e non per dare bambini ad adulti che li desiderano. Occorre ribadire che il senso dell’adozione è quello di dare un padre e una madre al bambino che non li ha più e non quello di dare bambini ad adulti che li desiderano: nessuno ha il diritto di alleviare il proprio fardello o soddisfare i propri desideri a spese degli altri, e ancora meno caricandolo sulle spalle degli innocenti, degli indifesi, dei più deboli.

La sofferenza della coppia non fertile non è quindi una ragione sufficiente perché questa coppia ottenga il diritto di adottare. Occorre ripeterlo chiaro e forte: non esiste alcun diritto al bambino. Il bene primario da tutelare è sempre e solo il diritto del minore.

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L’adozione è destinata a riparare una situazione di difficoltà per il bambino. È dunque indispensabile discernere bene la richiesta di ogni coppia che faccia domanda di adozione: il bambino è adottato per se stesso o per soddisfare un bisogno di coppia? La coppia vuole rimediare alla situazione di difficoltà del bambino o desidera rimediare alla sua situazione dolorosa di non poter avere figli?

Beninteso, una coppia non adotta un bambino se non ne sente il bisogno. Però, bisogna vigilare affinché l’interesse del bambino sia prioritario, come si desume dal nostro diritto di famiglia: ogni bambino ha diritto a una famiglia, in primo luogo alla sua, e – in mancanza della sua – quella che ha la vocazione a diventare la sua per adozione, se tale è il suo interesse. Ecco perché è necessario ricordare che desiderare un bambino non è sufficiente per adottarlo, e che le soluzioni compassionevoli e apparentemente semplici non sono sempre delle buone soluzioni: è possibile causare molte ferite in nome del bene.

Ed è incredibile che si cerchi di manipolare l’opinione pubblica con questi messaggi subliminali costruiti ad arte (è chiaro che dietro c’è la mano di un sapiente regista) invece che facilitare, per esempio, l’adozione internazionale per quei paesi in cui ancora esistono orfanotrofi. Siamo come sempre alle solite: per soddisfare i desideri degli adulti si tracciano tutti i sentieri più inauditi, fuorché la strada maestra: quello di mettere il bambino al centro, al primo posto. “E’ stato rifiutato da tre famiglie perché brutto e nero”, si dirà. Che strano. Una famiglia che conosco personalmente, per fare un esempio, ha adottato un bambino non certo bello e per di più autistico.  E non si tratta di un caso isolato. 

Mi chiedo: una quarta famiglia, prima di collocarlo in casa di due uomini, è stata sentita?

Alessandro Benigni

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