26/05/2014

Elton John: noi stiamo dalla parte del più debole non del politicamente corretto

Nell’ambito della serata organizzata a Roma dal titolo “Falsi miti di progresso”, si torna sulla vicenda di Elton John, emblema di quello a cui un modo dissennato di condurre l’esistenza sta portando: essere vicini perchè politicamente corretto a due ricchi adulti omosessuali e fregarsene delle sorti di un bambino prenotato con contratto di compravendita, costruito in laboratorio ed incubato in un utero in affitto.

Quando Zack capirà di non avere una madre, gli si spezzerà il cuore”, ammette il cantante.

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Bisogna proprio guardare i volti per capire. Attenti, emozionati. Fissi sulle immagini che scorrono nella sala buia. Si racconta l’ideologia del gender, il matrimonio omosessuale, l’utero in affitto, la fecondazione assistita, l’aborto, l’eutanasia, l’eugenetica. «Falsi miti di progresso», recita una scritta che presenta la serata. Falsi miti che sembrano “liberare” quell’umanità che vuole trasformare i propri desideri in diritti e che invece la conducono verso la negazione di sé andando, in diversi modi ma dentro una stessa logica, all’assalto del più debole: il bambino che deve nascere, la donna nel suo ruolo materno, l’adolescente a scuola, l’anziano malato o disabile.

È sera, sono le 21 di un lunedì di maggio. La sala dell’Antonianum, a Roma, è incredibilmente piena. Ci sono famiglie. E ci sono giovani. Soprattutto giovani. La narrazione è efficace, le parole sempre calibrate, il messaggio “contagioso”. Si riflette guardando spezzoni di film dei Monty Python o documentari girati in Norvegia, terra promessa dell’ideologia del “gender” dove però un comico ne scopre tutta l’inconsistenza. Parlano tre scrittori: Mario Adinolfi che con il suo “Voglio la mamma” ha aperto un fronte all’interno del campo che si dice progressista, ma che è ancora irregimentato dalle visioni che stanno alla base di disegni di legge alla Scalfarotto; Costanza Miriano e Marco Scicchitano. Parla padre Maurizio Botta, della Chiesa Nuova di Roma, bravo a legare le immagini alle parole. Si muove sul palco, sa comunicare, anche coi gesti. Parla di «missione» e cerca nuovi missionari capaci con convinzione di opporsi ai falsi miti di progresso.

Le storie impongono un di più di riflessione. Mario Adinolfi racconta di Elton John, del suo “matrimonio” con il “marito” David, della loro decisione di avere un figlio che si scontra con il limite di natura, del casting per cercare «un eccellente utero» da affittare, dei duecentomila dollari pagati a una donna canadese che ha venduto così quanto di più intimo una donna possieda: la maternità. E poi lo sperma di Elton John mescolato a quello di David, in modo che il figlio non possa mai conoscere il vero padre così come non potrà incontrare la vera madre: il contratto lo impone.

Ci si guarda. Come per interrogarsi, come per sollecitarsi reciprocamente a una reazione. Ma è ancora la storia a tenere la scena. Nasce il bambino. Si chiama Zack. Viene adagiato sul petto della madre, ma solo per qualche secondo. Poi viene strappato da quel seno che naturalmente stava cercando e viene consegnato alla ricca coppia di uomini che se lo sono comprato. Zack piange, piange inconsolabile. Elton John racconta in varie interviste di quel pianto, durato due anni. E di come lui, per due anni, tentando di consolare il piccolo, ha mandato il suo jet privato in Canada per raccogliere quotidianamente il latte materno della donna che aveva partorito Zack. La conclusione non è un giudizio. Non è un atto d’accusa. Ma è tutta in tredici parole “rubate” a un’intervista-confessione del cantante al “Daily Mail”: «Quando Zack capirà di non avere una madre, gli si spezzerà il cuore».

Racconti e immagini scuotono volti e coscienze. Nei tanti che riempiono la sala si fa largo la sensazione quasi fisica di errori e orrore che reclamano un impegno. Ma non isolato. Un impegno che tenga conto della durezza del momento e si allarghi alle grandi questioni sociali. Già perché temi etici e temi sociali devono essere uniti, per i cattolici e non solo per loro, da un filo rosso che non è poi difficile da individuare: la difesa dei soggetti realmente fragili, manipolabili e purtroppo spesso manipolati. Perché oggi la sfida vera è trovare le parole giuste per uscire dai propri recinti e andare in «missione» nel mondo, per testimoniare che si può vivere in un altro modo. Per mettere da parte le timidezze che spesso hanno condannato i credenti all’irrilevanza. Oggi la sfida è rinnovare un impegno, declinandolo con umanità e compassione, consapevoli che il passaggio centrale è stare sempre e comunque dalla parte del più debole. Sulle grandi questioni sociali e sulle grandi sfide etiche, che delle questioni sociali sono il cuore.

Arturo Celletti

Fonte: Avvenire

 

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