31/10/2013

L’aborto bussa alla Georgetown (SJ)

E lo storico campus ignaziano di Washington apre ai corsi pro choice

Ancora qualche mese, e dalla prossima primavera alla gloriosa Georgetown University di Washington, la prima università d’America retta dai padri gesuiti, arriveranno i corsi tenuti da gruppi che da anni predicano il diritto di abortire e di ricorrere ai più moderni metodi contraccettivi. Sarà infatti il National Women’s Law Center, attivo da anni nel combattere chi “minaccia il diritto della donna di decidere se abortire o meno”, a sovrintendere alla preparazione dei corsi rivolti ai giovani desiderosi di approfondire i contenuti della riforma sanitaria firmata da Barack Obama. Del National Women’s Law Center sono celebri le battaglie anche contro gli ospedali cattolici che si rifiutano, per questioni di coscienza, di fornire farmaci finalizzati a interrompere la gravidanza.

E’ una disgrazia, è la fine dell’identità cattolica della Georgetown”, dicono sconsolati coloro che sono più legati alla tradizione, alle radici storiche e cattoliche del campus: “Si è deciso di attivare un corso che richiederà agli studenti di lavorare con un’organizzazione esplicitamente dedicata a promuovere l’aborto e la contraccezione e che attivamente attacca la libertà religiosa. Il nome del corso può sembrare neutro e accademico, ma il suo contenuto certamente non lo è”, aggiunge Carrie Severino, capo del Judicial Crisis Network. La diocesi di Washington, per ora, si astiene da qualsiasi commento. Preferisce fare proprio il linguaggio politicamente corretto della diplomazia che ben poco chiarisce: “La situazione è complessa, bisogna capire meglio come stanno le cose”. Non una parola di più. I vertici della Georgetown ribattono invece che è tutta una questione di libertà accademica, che permettere agli abortisti di insegnare nel campus gesuita rientra in quel “libero scambio di idee” che è da sempre la cifra delle università della Compagnia in terra d’America. Tutto normale, dunque. In ogni caso, si precisa dai piani alti del campus, “il corso è opzionale e non ha al centro il tema dell’aborto, bensì è finalizzato a esplorare un ampio ventaglio di argomenti, dai disturbi alimentari a quelli sessuali, fino alla maternità”. E poi, si sottolinea a scanso di equivoci, “gli argomenti che saranno discussi nel corso non implicano alcun endorsement istituzionale da parte dell’Università” a teorie o idee altrui. A tenere il corso sarà Kelli Garcia, consigliere del National Women’s Law Center impegnata da tempo nel contrastare ogni “restrizione religiosa” che limita la libertà della donna di disporre del proprio corpo come più preferisce.

Il punto – precisano i difensori della specificità cattolica dell’Università trasmessa di generazione in generazione fin da quella mattina del gennaio 1789 in cui fu fondata – è che, sebbene il corso sarà facoltativo e gli studenti non saranno costretti a frequentarlo, “è sconcertante vedere che una scuola cattolica sia pronta a offrire una piattaforma per un’organizzazione che è diametralmente opposta all’insegnamento della chiesa su aborto, contraccezione e libertà religiosa”. E’ assurdo, dicono, che mentre i vescovi professano dai pulpiti la gravità di quei peccati le università cattoliche si avvalgano della collaborazione dei loro più determinati sostenitori.

La vicenda della Georgetown University è solo l’ultimo – ma più eclatante – caso di un’università, ufficialmente fedele al Magistero della chiesa romana, ormai intenta ad annacquare la propria identità cattolica. Bisogna cogliere i segni dei tempi, attrarre potenziali studenti d’ogni confessione religiosa con programmi vari, originali e soprattutto nuovi. Qualche settimana fa, alla Loyola Marymount di Los Angeles (anch’essa con le insegne della Compagnia d’Ignazio sulla facciata da centodue anni), conservatori e liberal si accapigliavano in una disputa sul mantenimento o meno dell’aborto selettivo tra le prestazioni coperte dall’assicurazione medica – dopo una votazione, si decise di cancellare l’aborto dalle prestazioni coperte, permettendo però ai dipendenti di sottoscrivere un piano separato finalizzato a coprire l’interruzione di gravidanza. Anche in quella circostanza, tra i viottoli dell’Università, i fautori della libertà di scelta si appellavano alla “atmosfera di tolleranza e accoglienza verso tutti”, ribadendo che lo scambio di idee tra studenti appartenenti ai diversi credo religiosi non può che far bene a un’istituzione che si ripromette di trasmettere il sapere universale. Un accomodamento al mondo che risultava già palese passeggiando nei corridoi del campus, tra adesivi pro choice e sempre più rari crocefissi.

di Matteo Matzuzzi

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