10/01/2017

L’aborto è un crimine: in Cile scendono in campo gli avvocati

L’aborto è un crimine abominevole, è la soppressione deliberata di una vita umana indifesa ed innocente.

Si tratta di una verità evidente a chiunque faccia ancora uso della propria ragione.

Lo hanno capito molto bene gli oltre 500 avvocati che in Cile hanno sottoscritto una Dichiarazione contro il progetto di legge di depenalizzazione dell’aborto. Le adesioni sono ancora in corso e continuano ad aumentare.

L’appello, uscito l’8 gennaio peraltro come inserto sul quotidiano El Mercurio, che il giorno prima aveva pubblicato il Manifesto dei “Medici impegnati per la vita”, sottolinea che depenalizzare l’aborto, seppur in sole tre fattispecie, significa incitare ad un crimine, addirittura obbligando i medici e le istituzioni sanitarie a commetterlo.

Come chiamare altrimenti l’omicidio deliberato di un bambino non ancora nato nel luogo che in teoria dovrebbe essere il più sicuro, ovvero il ventre materno? Poiché la vita inizia dal concepimento – e a dirlo è la scienza – l’aborto uccide un essere umano vero e proprio.

Nessuno quindi può arrogarsi il diritto di decidere chi può vivere e chi no, in nessun caso e per nessun motivo. Oltretutto, come fanno notare gli avvocati, oltre al bambino, un’altra vittima dell’aborto è la mamma. Non bisogna dimenticare che spesso le donne sono costrette a interrompere la gravidanza a causa di forti pressioni familiari. Cosa accadrebbe se la legge fosse approvata? Le pressioni crescerebbero drammaticamente.

La Dichiarazione mette poi in luce le menzogne diffuse per far approvare il progetto legislativo, attualmente in discussione in Commissione Affari Costituzionali del Senato, dove a quanto pare sarà un solo voto a fare la differenza.

Innanzi tutto per proteggere la vita della madre non c’è affatto bisogno di ricorrere all’aborto: a dirlo è l’immensa maggioranza dei medici. Anche perché l’ordinamento già prevede che in casi molto gravi è comunque possibile salvare la donna ricorrendo ad interventi che possono avere, come effetto indiretto e non voluto, la morte del bambino.

In secondo luogo, di fronte a nascituri malati la società ha il dovere dell’amorevole accoglienza e di fornire tutti gli aiuti necessari per sostenere loro e le loro famiglie. La soluzione non potrà mai essere l’omicidio.

Questo ovviamente vale anche nel caso dello stupro. La donna violentata merita un’attenzione speciale e il delinquente responsabile della violenza va severamente punito. Ma il bambino non ha alcuna colpa e sarebbe una grave ingiustizia eliminarlo.

Ecco allora che nemmeno le tre fattispecie di cui parla la legge possono giustificare la depenalizzazione dell’aborto. Anche perché se così fosse, si verrebbe a creare un pericoloso precedente, in base al quale lo Stato deciderebbe chi è degno di vivere e chi no: una vera e propria discriminazione.

Il tutto sarebbe infine assolutamente incostituzionale. La Costituzione cilena infatti afferma chiaramente che il diritto alla vita e all’integrità psico-fisica della persona vanno tutelati. E che la legge protegge la vita dei nascituri (art. 19).

Il Cile sta ad un bivio tra la vita e la morte. In tutti i sensi. Da una parte la preservazione del diritto naturale e i valori di una società umana e giusta; dall’altra la mattanza di bambini innocenti, l’individualismo sfrenato e la cultura della morte. Da una parte la strada del vero progresso e del bene comune; dall’altra la rovina morale e materiale del Paese.

Federico Catani


 

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