20/08/2015

Transgender: in USA il tasso di suicidi è 10 volte quello medio

I transgender, le persone che soffrono di disforia di genere, vengono spesso assecondate e supportate nel rifiutare definitivamente la propria identità sessuata, fino a mascherarla in modo radicale con l’intervento chirurgico di “riassegnazione del sesso”.

Questo accade anche ai teenager e addirittura ai bambini.

La moda che si è andata diffondendo, grazie alla diffusione dell’ideologia gender, spinge dunque i transgender, spesso in giovane età, a cambiare sesso, come è avvenuto nel caso dello sportivo Bruce Jenner, applaudito dallo stesso presidente degli Stati Uniti come coraggioso eroe dopo la castrazione.

Molti studi, però, dimostrano come le persone che cercano di cambiare sesso, con interventi e tecniche invasive, non sono felici e che anzi, in molti casi tentano purtroppo la via del suicidio.

BludentalProbabilmente perché – e tutti dovrebbero saperlo, a cominciare dai medici – cambiare davvero sesso non è possibile: il cromosoma y (salvo rarissimi casi di patologie che sono certamente da curare) o c’è o non c’è. La chirurgia plastica può modificare gli attributi sessuali esterni, ma non la mappa genetica di tutte le cellule del corpo umano.

Uno studio condotto dall’American Foundation for Suicide Prevention ha analizzato i risultati provenienti dalla National Transgender Discrimination Survey. Il numero di tentati suicidi è spaventoso.

Più del 41% delle persone intervistate, che hanno subito un intervento chirurgico di riassegnazione del sesso, alla domanda “Hai mai provato a suicidarti?” hanno risposto “Sì”. Una percentuale grandissima, quasi dieci volte la media nazionale di suicidi che in USA si attesta attorno al 4,6%.

Anche uno studio condotto dall’Aggressive Research Intelligence Facility (ARIF) dell’Università di Birmingham ha tratto le stesse conclusioni.

Stress cronico ed ansietà diffusa sembrano essere le cause principali, spiega la linea anti-suicidi istituita per le persone transessuali, Trans Lifeline, che ha ricevuto più di 20.000 chiamate nei suoi primi 9 mesi di vita.

I media solitamente attribuiscono questa alta percentuale alle influenze esterne, come il rifiuto da parte delle famiglie o della società in generale, alla cosiddetta omo-transfobia. Non considerano affatto la battaglia interna che una persona transgender deve affrontare. La mentalità “genderista” pretende che la realtà si adegui al desiderio. E quando ciò risulta impossibile la colpa è della società.

Non solo: ai transgender infelici è vietato esprimere pubblicamente il proprio pentimento per aver fatto l’operazione. La lobby LGBT silenzia, censura, minaccia, emargina chiunque osi mostrare rimpianto.

Cambiare sesso è una pratica invasiva, che comporta la mutilazione dei genitali e che raramente dà gli esiti sperati. Senza contare poi il bombardamento di ormoni che il corpo deve subire per modificare le proprie caratteristiche.

Soprattutto, il “sex changing” è un’operazione dalla quale non si può tornare indietro e benché la moda lo presenti come una cosa bellissima ed addirittura “eroica”, non è così per chi lo deve subire.

Il campione di tennis Renée Richards, che fece l’intevento per diventare donna, già negli anni ’70 scriveva: “Stavo meglio prima: ero una persona intatta, completa. Non voglio essere preso ad esempio. Quando mi scrivono per chiedermi consigli scoraggio tutti: non fatevi operare”.

E poi, cosa direste a chi asseconda una persona anoressica che si vede grassa, consigliandole di mettersi a dieta? Che non vuole il suo bene.

La stessa cosa vale per chi asseconda le persone con la disforia di genere: sono loro i veri “transfobici”.

Il sesso biologico è una cosa determinata dalla natura: andare contro la natura fa male.

Diceva un saggio: Dio perdona sempre, l’uomo qualche volta, la natura mai.

Redazione

FONTE: www.lifesitenews.com

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