21/11/2016

Aggredire chi prega perché cessi l’aborto è “accoglienza”?

La cultura della morte non sopporta chi si oppone al primo e fondamentale dei “riti” che essa promuove: l’aborto.

Il libertarismo radicale che contraddistingue i portatori del nichilismo e del relativismo  a parole predica “l’inclusione” e la “democrazia”. In pratica nega le libertà fondamentali di chi osa esprimere opinioni contrarie alle loro.

Perciò coloro che osano pregare fuori dagli ospedali dove si pratica l’aborto, affinché cessi la moderna strage degli innocenti, subiscono aggressioni violente da ogni parte.

Mediaticamente, piccoli blogger biliosi e menzogneri li aggrediscono in modo volgare e violento, fisicamente devono sopportare insulti e sberleffi da gruppi femministi o simili mentre pacificamente pregano il Rosario. Legalmente le forze dell’ordine scendono in campo a contenere, controllare e disperedere – se del caso – questi “manifestanti pericolosi”: per giudicare il pericolo all’ordine pubblico che essi arrecano, basta guardare la foto qui sopra scattata da Giorgio Celsi fuori dall’ospedale di Monza.

Lasciamo quindi la parola proprio a Giorgio Celsi, presidente di Ora et Labora in Difesa della Vita, che ci ha scritto a proposito di quel che è accaduto in occasione dei loro recenti incontri di preghiera contro l’aborto.

Se difendere i bambini nel grembo e le loro mamme vuol dire essere un ultraintegralista cattolico, io sono ultra felice di esserlo. Gli articoli che stanno uscendo su alcuni siti internet riguardanti le nostre iniziative di preghiera e testimonianza fuori dagli ospedali abortisti dimostrano che nella difesa della Vita stiamo seguendo la strada giusta.

Il Signore infatti ci invita a gridare senza compromessi la verità dai tetti, ci invita ad essere il sale della terra, sale che nelle ferite brucia. E non saremo di certo noi di Ora et Labora in Difesa della Vita a nascondere o addolcire la verità dell’aborto.

Che siamo sulla strada giusta si evince dal fatto che se fuori dagli ospedali dicessimo che stanno operando le appendiciti nessuno avrebbe nulla da ridire, ma diciamo invece chepraticano l’aborto: allora il diavolo si scatena e succede un pandemonio (ricordo che ogni aborto è un tributo a satana).

Le ultime due volte che abbiamo testimoniato, sia a Brescia che a Monza, sono arrivati la Polizia Municipale, i Carabinieri, la vigilanza interna, il personale della direzione sanitaria, le femministe... mancava solo la Protezione Civile e c’erano tutti, come se noi che recitavamo pacificamente il Rosario fossimo così pericolosi!

Viene spontaneo chiedersi allora se tutto ciò non scaturisca dal fatto che c’è la coscienza sporca di chi lucra sia ideologicamente, sia economicamente sull’aborto, sulla soppressione dei bambini nel grembo, e che per giunta dopo avere compiuto queste atrocità, che gridano vendetta davanti a Dio e alle generazioni future vogliono anche nascondere il cadavere.

Ebbene finché nei nostri ospedali ci saranno “medici” e “infermieri” che eseguiranno aborti in barba al Giuramento d’Ippocrate e al Codice Deontologico, e a spese di noi contribuenti per renderci così complici, noi continueremo a pregare e testimoniare fuori dagli ospedali stessi, perché i bambini non si toccano; i bambini sono la speranza del futuro.

Saremo lì a ricordare che gli Ospedali devono ritornare ad essere luoghi per nascere non per morire e non saranno di certo i verbali che ultimamente ha incominciato a farci la Polizia Municipale (nonostante avessimo dato il preavviso in questura) a fermarci.

Io ho invitato le forze dell’ordine a non accanirsi contro di noi che preghiamo e testimoniamo in modo pacifico per la Vita (con tanto di preavviso e di protezione costituzionale data dagli articoli 17, 18, 19 e 21 della costituzione che garantiscono la libertà di riunione, associazione, professione religiosa e espressione del pensiero) , ma ad entrare negli ospedali e a guardare dentro i contenitori dei rifiuti speciali dove vengono gettati i bambini abortiti anche di 6 mesi e pensarci su, perché la Vita va tutelata fin dal concepimento e non ci devono essere leggi dello stato che permettano queste atrocità.

Alle femministe che rivendicano la libertà di uccidere i propri piccoli vorrei far notare che non c’è nulla di femminile in questo, vorrei far notare che più della metà degli aborti sono di bambine (più della metà, in quanto le statistiche evidenziano da alcuni anni un incremento dell’eliminazione di bambine rispetto ai maschietti a causa dell’aborto sesso selettivo ) e che quindi l’aborto è il più grande femminicidio in atto,  vorrei fargli inoltre notare che visto che si definiscono pro choice ossia per la libera scelta, dovrebbero smetterla di perseguitarci in quanto noi stiamo facendo quello che dovrebbero fare loro e cioè dare alle mamme anche la scelta di tenersi il bambino, altrimenti non sono pro choice, ma, più coerentemente, pro morte.

Incoerenti sono anche coloro che con falso pietismo si riempiono la bocca con la parola “accoglienza” e poi sono indifferenti o addirittura d’accordo sul fatto che grazie a una legge dello stato (la 194/78, legge ingiusta e immorale, che ha trasformato un “delitto” in un “diritto”, e una mamma in carnefice) non accogliamo i nostri bambini.

A tutte queste persone vorrei ricordare che se sono nati è perché la loro mamma non ha scelto l’aborto, non  gli ha negato la Vita e che l’accoglienza inizia proprio nel grembo e così anche la Pace. Ricordo che dall’entrata in vigore della legge 194 sono stati oltre 6.000.000 i bambini abortiti dal 1978 e con loro non abbiamo accolto neanche tutti i figli che questi bambini avrebbero a loro volta potuto avere e ciò rende l’aborto un deplorevole delitto contro la stirpe umana. Giovanni Paolo II ci ha lasciato detto: “Una Nazione che uccide i propri figli è una nazione senza futuro”,  perché ogni aborto impoverisce sempre più la nostra società e la priva di quei membri che la renderebbero più forte. Non è sostituendo la popolazione italiana con gli immigrati, come certi politici sostengono, che risolveremo i nostri problemi, ma li risolveremo solo accogliendo la vita, senza se e senza ma.

Giorgio Celsi


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