21/08/2014

Caso Forteto: “Bouchard ricusato per frasi non dette”

Abbiamo riportato la preoccupante sostituzione del Presidente del Collegio giudicante nel caso del Forteto, Marco Bouchard, scelta che aveva destato non pochi sospetti in ordine al divenire di una sentenza che andasse a fare giustizia dei crimini di cui Fiesoli ed i suoi si sarebbero macchiati.

Ora arriva il parere della Procura generale di Firenze che demolisce, pezzo per pezzo, le ragioni in forza delle quali la Corte d’Appello ha disposto la ricusazione del giudice.

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 «LA CORTE ha costruito una valutazione anticipatrice del giudizio sulla base di frasi non dette». In dodici pagine depositate in Cassazione, la procura generale di Firenze demolisce con rara durezza il provvedimento con cui la Corte d’appello ha disposto la ricusazione del presidente del collegio giudicante del processo sul Forteto, il giudice Marco Bouchard. E in calce all’atto è significativa la firma— oltre a quella di chi lo ha materialmente stilato e cioè il sostituto procuratore generale Adolfo Sgambaro — del capo dell’ufficio, il pg Tindari Baglione. Si tratta di pagine durissime.

Alcuni stralci attaccano la Corte d’appello in modo frontale: «Motivazione carente, inidonea e contraddittoria»; «incongruenza e inconsistenza di una simile interpretazione». Poi, dopo aver contestato la nullità in punta di diritto dell’ordinanza, arriva il passaggio cruciale: «La tesi della Corte — si legge — sarebbe che il presidente non avrebbe avuto come scopo quello di effettuare delle contestazioni, poiché i suoi interventi avevano una natura rappresentativa e non interrogativa». Ma è «irrilevante» parlare del tono e della valenza assertiva delle premesse delle domande: «In realtà la Corte assegna una rilevanza decisiva a elementi formali, a toni e inflessioni, e da ciò desume un pregiudizio interno. Ma se il presidente avesse maturato il proprio convincimento rispetto a fatti riferiti ad alcuni imputati, perché contestarli a un altro imputato che riferisce cose diverse? Soprattutto perché insistere, se non per una ricerca della verità, per ridiscutere e rivedere fatti che gli erano stati riferiti in modo apparentemente convincente?». La conclusione è sferzante: «Si danno per scontati fatti che non lo sono, operando veri e propri salti logici».

E SE LA PROCURA generale è stata dura, ancor più pesante è stato il parallelo ricorso in Cassazione dell’avvocato Barbara Londi, prima fra i legali di parte civile nel processo a seguire questa strada. In 19 pagine, il legale di due delle vittime del Forteto («che peraltro lavorano ancora lì e vivono una situazione da incubo», sottolinea) spara ad alzo zero anche sull’ammissibilità della dichiarazione di ricusazione presentata dalla difesa. Vengono esplicitati vari vizi motivazionali: dalla mancata richiesta di sospensione dell’udienza per presentare tale dichiarazione in cancelleria (un’omissione la cui «reale causa» era l’assenza in quell’udienza dell’avvocato Lorenzo Zilletti, difensore di Fiesoli) alla «riserva di ricusazione indefinita e impersonale dichiarata un momento prima della chiusura dell’udienza, e non nell’immediatezza del verificarsi delle domande del presidente ricusato, da parte di un soggetto non legittimato (ossia l’avvocato Massimiliano Palena, sostituto di Zilletti nell’occasione, ndr)». Ancora più grave è che la Corte abbia dato «per dimostrate, circostanze che sono state semplicemente allegate da una sola delle parti del processo e senza alcun accertamento in ordine alla loro esistenza e veridicità. Se ne ricava pertanto come la ricusazione si fondi unicamente sul dissenso culturale del collegio giudicante nei confronti del sistema di conduzione dell’udienza adottato dal giudice ricusato, a causa delle modalità partecipative, colloquiali e non particolarmente formali».

 

E la Cassazione già la pensa allo stesso modo sostenendo in un precedente che il comportamento tenuto nel procedimento dal giudice, persino quando si adduca animosità, non costituisce motivo di ricusazione. In conclusione, «non si comprende in cosa si ravvisi l’anticipazione di giudizio se non nel tono ‘incalzante e assertivo’ che attiene alle modalità di richiesta dei chiarimenti e non al contenuto».

IL RITORNO di Marco Bouchard alla guida del processo Forteto appare sempre più vicino, ma le difese hanno un’ultima carta da giocare: la ‘legittima suspicione’ per cui si chiede lo spostamento del processo in altra sede considerando imparziale l’intero organo giudicante. Sarebbe l’ennesima dimostrazione della volontà di non fare davvero il processo ma di cercare solo e soltanto la prescrizione. Del tutto legittimo giuridicamente, sia chiaro, ma moralmente impressionante.

Gigi Paoli

Fonte: La Nazione

 

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