01/03/2015

Ci vorrà la “patente di non omofobia” per poter lavorare?

Radio città del Capo rilancia con soddisfazione che a Bologna Lucio Rizzo Nervo, assessore allo sport, ha proposto di consentire la gestione degli impianti sportivi solo a chi abbia una sorta di “patente anti – omofobia”.

La proposta è emersa in un convegno organizzato dall’UISP (Unione Italiana Sport Per tutti) e da Arcilesbica.

Ha detto: “Non ci accontentiamo di quella neutralità sulla quale spesso il mondo sportivo si attesta” . Ha detto che non gli basta il “Don’t ask ,don’t tell” dell’esercito americano che nello sport spesso viene declinato con “non me ne frega nulla che tu sia gay o lesbica, basta che non si veda”.

“Sul come fare, Rizzo Nervo non è entrato nei dettagli”. Ma penso che si tratti di dettagli importanti: come si fa a sapere se uno che voglia gestire una palestra o un centro sportivo è omofobo?

A guardarsi in giro e vedere le accuse di omofobia che piovono con sdegno e aggressività su chiunque osi pensare che i bambini hanno bisogno di un padre e una madre, che la famiglia è basata sul matrimonio di un uomo e una donna, che l’educazione sessuale dei bambini spetta in primis ai genitori... bhè, penso che siano ben poche le persone che possano dirigere un centro sportivo in Emilia Romagna.

Certamente sarà possibile agli iscritti ad Arcigay e Arcilesbica e ad associazioni e partiti  contigui...

.. Chissà perché, mi vengono in mente le leggi razziali del ’38 ... chissà perché mi vengono in mente i cartelli con su scritto “vietato l’ingresso ai negri”...

Dice l’assessore: “Perché non imporre per legge un codice etico alle società sportive che preveda espressamente il rifiuto delle discriminazioni?”

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“Le persone devono essere libere” secondo Rizzo: tutte tranne quelle a cui “la legge impone un codice etico”, diciamo noi.

Forse bisognerebbe ricordare che l’etica e la morale devono ispirare la legge. Non viceversa. A meno che non auspichiamo il ritorno dello “stato etico”, in cui è la legge che crea la morale, e che ci ricorda tanto i baffetti di uno che stava in Germania negli anni ’30 e i baffoni di un altro che stava un po’ più ad Est.

Francesca Romana Poleggi

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