16/01/2017

Eutanasia in Italia, mascherata da “DAT”

Il 30 gennaio è stata calendarizzata la discussione alla Camera del disegno di legge sull’eutanasia.

Ripetiamo: eutanasia.

Non facciamoci imbambolare dalla neolingua. Impariamo a difenderci dal lavaggio del cervello.

Il disegno di legge  intitolato “Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari” (da cui l’acronimo DAT), che è il testo unificato di tutta una serie di proposte più vecchie (la n. 1142 Mantero, la n. 1298 Locatelli, la n. 1432 Murer, la n. 2229 Roccella, la n. 2264 Nicchi, la n. 2996 Binetti, la n. 3391 Carloni, la n. 3561 Miotto, la n. 3584 Nizzi, la n.3586 Fucci, la n. 3596 Calabrò, la n. 3599 Brignone, la n. 3630 Iori, la n. 3723 Marzano, la n. 3730 Marazziti e la n.3970 Silvia Giordano) non contiene mai la parola “eutanasia”.

Ma all’articolo 3, primo comma, dice che il paziente, o il suo “fiduciario” (quindi persona indicata dal paziente stesso, che però decide anche se il malato potrebbe aver cambiato idea e potrebbe non aver fatto in tempo a comunicarglielo) può dare «consenso o rifiuto rispetto a scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari», tra cui vengono incluse «le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali».

Da quando in qua cibo e bevande sono “trattamenti sanitari”?

“Rinunciare” o “togliere” cibo e bevande a un malato vuol dire ammazzarlo, praticargli l’eutanasia.

Alcuni la chiamano “sedazione terminale” e la spacciano per “cure palliative” (perché ovviamente il malato è sedato, mentre muore di fame e di sete). Alcuni la chiamano con una sigla, VSED: “voluntary stop eating and drinking” (ne parlavamo già qua: le sigle piacciono molto alla neolingua, sono così asettiche...). Ma le cure palliative vere sono tutt’altra cosa. Non abbreviano la vita, ma aiutano a vivere meglio nei momenti di sofferenza!

All’art. 1, settimo comma, la proposta inoltre dice: «Il medico  è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente e in conseguenza di ciò è esente da responsabilità civile o penale». Ciò vuol dire che se io chiedessi al mio medico di uccidermi, quegli non potrebbe rifiutarsi: alla faccia della libertà di coscienza, e alla faccia del giuramento di Ippocrate. E non si venga a dire che «Allora uno cambia mestiere e non fa il medico»: la professione medica è di chi cura e salva la vita, non di chi uccide. Quella è la professione del boia. Due cose nettamente diverse.

E la cosa è sostanzialmente confermata dall’articolo 3, che spiega che “DAT” sono «disposizioni» e non più «dichiarazioni» anticipate di trattamento. La cosa non è da sottovalutare.

Infine, l’articolo 5 convalida i registri dei “testamenti biologici” che sono stati discutibilmente, ai limiti della legalità, adottati da qualche Comune radical-chic, spesso per compiacere le associazioni pro-eutanasia. Tali testamenti biologici sono convalidati purché si applichino «le disposizioni di cui alla presente legge».

Se anche leggendo il testo in questione, volessimo riscontrarvi qualcosa di buono, per esempio, circa il consenso informato o altro, l’ambiguità ci pare regni sovrana. E dove su certi temi c’è ambiguità non c’è da fidarsi: il testo va respinto in toto.

Per esempio, l’art.4 al comma 2 recita: «Il paziente e, con il suo consenso, i suoi familiari, sono adeguatamente informati, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, in particolare a proposito del possibile evolversi della patologia in atto, di quanto il paziente può realisticamente attendersi in termini di qualità della vita, delle possibilità cliniche di intervenire, delle cure palliative».

In sé, qui non c’è niente di male. Si tratta di informazione, trasparenza, ecc. Ma che cosa si intende per “qualità della vita”? E chi decide quando e come una vita  è “di qualità”? 

Insomma, qui si tratta  di legalizzare e “normalizzare” la fine che ha fatto la povera Eluana Englaro o Terri Schiavo.

Speriamo davvero che si crei una forte e seria opposizione alla Camera su questa questione e non finisca come con il matrimonio gay.

Cari Lettori, noi dal canto nostro abbiamo sempre messo in guardia dall’eutanasia (sotto le varie diciture neolinguesche di DAT, suicidio assistito, sedazione terminale...). Torneremo a parlarne anche nei prossimi giorni, con insistenza: seguiteci.

Ricorderemo che ovunque si sia iniziato con la legalizzazione dell’eutanasia, in casi estremi e forme particolarissime, nel giro di pochi mesi il fenomeno è divenuto dilagante. Tanto che anche chi prima la proponeva è tornato sui suoi passi. Perché con l’eutanasia non solo ci godono i “cultori della morte”, ma c’è anche chi lucra sopra.

Redazione


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