01/03/2017

Gender a scuola: allarme rosso, arriva il testo unificato

Non sono bastati due family day, non è servita la protesta continua e diffusa per tutta l’Italia delle famiglie, neanche è servita la condanna dell’ideolgia gender da parte di Papa Francesco.

La Commissione VII della Camera sta per discutere un testo unificato che, in attuazione della legge 107 ( la tristemente nota “buona” scuola di Renzi), introduce «l’educazione di genere [leggasi gender] nelle attività didattiche delle scuole del sistema nazionale di istruzione».

I nostri Lettori sanno bene quanto sia subdola l’espressione “educazione di genere”: è la porta che si apre per qualsiasi forma di educazione sessuale, anche perversa, a qualsiasi forma di presentazione distorta della natura sessuata umana, compresa l’educazione alla fluidità del “genere” che è uno dei pilastri dell’ideologia gender.

Cliccando qua potete leggere il testo unificato in questione.

Come al solito, il pretesto per l’indottrinamento gender è la “parità fra i sessi”. Ma ad essa segue un “e” (quindi si aggiunge) qualcosa relativo al genere: si dà per scontato, quindi che il genere sia qualcosa di diverso dal sesso:  per esempio l’art.1, comma 2, dice «educazione alla parità tra i sessi e al rispetto delle differenze di genere», l’art.2,  comma 1, ripete «parità tra i sessi e alle differenze di genere» (e dove si scrive genere, si legga gender).

L’art.2, comma 3, prevede l’educazione (io direi, appunto, “indottrinamento”) al  linguaggio di genere. La neolingua gender che viene imposta per legge. Ne sappiamo già qualcosa: abbiamo letto le  linee guida dell’UNAR per i giornalisti, interventi legislativi di enti locali, proposte all’Accademia della crusca di scrivere un amore con l’apostrofo, sentiamo di “sindache, ministre”, e amenità simili. Magari presto si aboliranno le parole mamma e papà o – per lo meno – si insegnerà nelle scuole a non chiamare madre la donna incinta...

gender_cinture_aereo_famigliaL’art.3, comma 1, invita alla «eliminazione di stereotipi, pregiudizi, costumi, tradizioni e altre pratiche socio-culturali fondati sulla discriminazione delle persone in base al sesso», così andrà abolito anche l’odioso stereotipo sessista che prevede un uomo e una donna per fare un figlio: si potrà insegnare nelle scuole che i figli si fanno in provetta o si comprano in America: si cancella la madre e si diventa (miracolosamente) padre1 e padre2 del bambino. Le discriminazioni , in questo testo, non sono mai accompagnate con l’aggettivo “ingiuste”. Temo che non sia una svista, ma un preciso intento ideologico. Le discriminazioni giuste sono sacrosante. Gli ideologi del gender vogliono eliminare tutte le discriminazioni (differenze) in nome di una omogeneità distruttiva dell’essere umano e della sua identità.

L’art.3, comma 2, invece, dice che bisogna seguire  «i criteri di adozione di libri di testo e materiali didattici in conformità alle previsioni del codice di autoregolamentazione POLITE»: questo in omaggio al  disegno di legge 1680, prima firmataria Valeria Fedeli, oggi Ministro dell’Istruzione,   “Introduzione dell’educazione di genere e della prospettiva di genere nelle attività e nei materiali didattici delle scuole del sistema nazionale di istruzione e nelle università”, che all’art. 5 recita: «A decorrere dall’anno scolastico 2015/2016, le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado adottano libri di testo e materiali didattici corredati dall’autodichiarazione delle case editrici che attestino il rispetto delle indicazioni contenute nel codice di autoregolamentazione ‘Pari opportunità nei libri di testo’ (Polite (se cliccate sul link potete approfondire e farvi una cultura su quanto sia subdola l’ideologia  gender nei libri di testo scolastici).

L’art.3, comma 5, con nonchalance avvisa che la «valutazione delle istituzioni scolastiche», che  vuol dire i “soldi” per i gessi, i cancellini  e le fotocopie – per non parlare dei corsi di recupero, dipende da come la scuola ha realizzato l’indottrinamento gender (che va inserito nel POF ecc.).

Quanto alle famiglie, l’art. 3, comma 3, pervede «momenti di coinvolgimento delle famiglie» (ma proprio attimi?) e l’art.4 comma 2  dice che «Le istituzioni scolastiche assicurano l’informazione, la pubblicità e la comunicazione alle famiglie degli interventi educativi deliberati»: di consenso informato neanche l’ombra. Le famiglie saranno informate, sì, ma non  serve il loro consenso.

Dulcis in fundo: l’art.5, comma 2, parla di  «raccordo con gli enti, con le associazioni del territorio, con le università e con gli uffici scolastici territoriali e regionali, finalizzate all’acquisizione di conoscenze e di competenze sull’uguaglianza di genere, sulla non discriminazione e sulla parità tra donne e uomini e atte a prevenire e a contrastare i discorsi di odio e i fenomeni di violenza».

Enti e associazioni accreditati all’UNAR, come Anddos e il Circolo Mario Mieli?

Non sono bastati due family day, dicevamo in apertura: ma questa gente prima o poi dovrà rendere il conto. Prendiamo coscienza. Non lasciamoci irretire. Continuiamo a protestare.

Francesca Romana Poleggi

 



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