26/10/2015

Il MIUR risponde all’On. Borghesi sul gender: pronti a denunciare

Gender e MIUR: va in scena un altro episodio sulle reazioni del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca contro chi solleva il problema del gender nelle scuole.

L’Onorevole Stefano Borghesi ha presentato, il 14 ottobre, un’interrogazione in Commissione cultura sulla “questione gender” sulla base delle informazioni fornite dalla nostra associazione ProVita nel famoso dossier di iniziative gender nelle scuole (che potete reperire a questo link). Nell’interrogazione si facevano presenti alcuni degli episodi accaduti nelle scuole, che sembrano implicare la promozione di ideologie piuttosto che l’educazione al rispetto e all’affettività: si pensi alla lettura in classe al Liceo Giulio Cesare del romanzo di Melania Mazzucco, contenente descrizioni esplicite di scene di masturbazione e di sesso orale tra ragazzi, oppure alla distribuzione di favole gay nelle scuole materne di Venezia.

L’Onorevole interrogante ha poi sostenuto che queste iniziative, basate sulla prospettiva di genere, hanno trovato fondamento legislativo nell’art. 5 comma 2 del decreto legge 93/2013 convertito e modificato dalla legge n. 119/2013 (al quale rinvia la legge 107/2015 sulla c.d. “Buona Scuola”). Infine, l’On. Borghesi, riferendosi ad alcuni progetti del famigerato UNAR, chiede al MIUR “se quanto riportato nel dossier dell’Associazione PRO VITA corrisponda al vero e, in tal caso, se sia a conoscenza di questi programmi scolastici, quale sia il suo orientamento in merito e se intenda porre in essere iniziative urgenti, per quanto di competenza, per bloccare lo svolgimento di tali progetti”.

La risposta del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, attraverso il sottosegretario Faraone, non si è fatta attendere (si leggano qui l’interrogazione e la risposta).

Il MIUR sottolinea la totale estraneità delle notizie diffuse da alcune associazioni [nello specifico, ProVita, nda] sulla cultura gender nell’ambito dell’autonomia scolastica” e, riferendosi alla legge 107/2015 (c.d. legge sulla “Buona Scuola”), ribadisce quanto già espresso da una circolare del MIUR, e cioè che la finalità non è quella di “promuovere pensieri e azioni ispirate ad ideologie di qualsivoglia natura bensì quella di trasmettere conoscenza e consapevolezza riguardo ai diritti e ai doveri della persona costituzionalmente garantiti [...]”. “Con la Circolare – continua la risposta – è stata pertanto chiarita la portata del comma 16 della legge 107, che si ispira ai principi di pari dignità e non discriminazione di cui agli artt. 3, 4, 29, 37, 51 della nostra Carta Costituzionale [...]”.

La risposta del MIUR si conclude con una specie di minaccia: “A conferma che la diffusione delle informazioni non corrette sta creando allarmismo ingiustificato, che sovente impatta con il regolare funzionamento delle attività didattiche della scuola, si è chiesto all’Avvocatura dello Stato, di verificare – in ipotesi di diffusione propagandistica non rispondente ai reali contenuti della legge 107 – la sussistenza di elementi per ricorrere, se del caso, all’autorità giudiziaria.

In attesa che il MIUR ci denunci per un fantomatico reato di “propaganda anti- gender” facciamo qualche osservazione.

Riguardo alla legge 107/2015 e alle normative connesse (decreto legge 63/2013 convertito dalla legge 119/2013), ci auguriamo vivamente che vengano interpretate come indicato dalla circolare richiamata del MIUR, che esclude finalità tese a “promuovere pensieri e azioni ispirati a ideologie di qualsivoglia natura” e invece ne individua lo scopo nella trasmissione della “conoscenza e consapevolezza riguardo ai diritti e ai doveri della persona costituzionalmente garantiti”.

L’auspicio deve tenere purtroppo conto del fatto che un’interpretazione conforme al contesto normativo sarebbe in contraddizione con quella indicata dal MIUR. In particolare l’uso del termine “genere” (che a differenza del più immediatamente percepibile “sesso”, non trova ancoraggio nella nostra Carta Costituzionale) è intrinsecamente problematico: è chiaro che in queste norme il termine genere ha un significato diverso da “sesso” in quanto il decreto legge 63 e la legge 119 del 2013 attuano la convenzione di Istanbul secondo la quale con il termine “genere” ci si riferisce a “ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini”. La stessa Convenzione chiede che la sua applicazione avvenga senza discriminazione basata, tra l’altro, sulla “identità di genere” (art. 4) e fa propria la prospettiva del femminismo radicale secondo la quale la violenza contro le donne nella nostra società sarebbe “strutturale” in quanto basata sul genere socialmente accettato (si veda il preambolo).

Desta dunque preoccupazione il fatto che la normativa nazionale e alcuni documenti amministrativi abbiano accolto in modo acritico una prospettiva basata sul genere, rispetto alla quale esprimeva riserve lo stesso Governo italiano in sede di firma della Convenzione di Istanbul (si veda questo link sul sito della Camera dei deputati): l’Italia depositò presso il Consiglio d’Europa una nota verbale con la quale dichiarava che “applicherà la Convenzione nel rispetto dei principi e delle previsioni costituzionali”. La dichiarazione era motivata dal fatto che la definizione di “genere” contenuta nella Convenzione (l’art. 3, lettera c) era ritenuta “troppo ampia e incerta e [presentava] profili di criticità con l’impianto costituzionale italiano”.

Ci domandiamo in primo luogo: il MIUR è consapevole che è chiamato ad applicare, nelle scuole, normative che si basano su una nozione “troppo ampia e incerta” e che presenta “profili di criticità con l’impianto costituzionale italiano”?

In ogni caso, se il MIUR assicura che le disposizioni richiamate non comportano la promozione di ideologie di qualsivoglia natura ma intendano solo trasmettere conoscenza riguardo a diritti e doveri della persona costituzionalmente garantiti (interpretazione che ci auguriamo si affermi ma che tuttavia non tiene conto del problematico contesto normativo), non riusciamo a capire perché, nonostante le rassicurazioni del MIUR, siano state, e continuino a essere, applicate e promosse nelle scuole, sia da uffici governativi che da altri enti, prospettive ideologiche contrarie ai convincimenti della maggior parte della popolazione. Ci riferiamo, ad esempio, a:

  • la nota “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere. 2013-2015? la quale afferma che a fondamento del bullismo omofobico e transfobico ci sarebbe una “cultura che prevede soltanto una visione eteronormativa e modelli di sessualità e norme di genere” (p. 20); tra gli obiettivi ci sono quelli di “favorire l’empowerment delle persone LGBT [quindi anche transessuali e transgender, come si specifica a p. 47] nelle scuole, sia tra gli insegnanti che tra gli alunni”, e di “contribuire alla conoscenza delle nuove realtà familiari, superare il pregiudizio legato all’orientamento affettivo dei genitori (ecc.)” (p. 22); tra le misure concrete proposte: “integrazione delle materie antidiscriminatorie nei curricula scolastici (…) con un particolare focus sui temi LGBT”, “accreditamento delle associazioni LGBT, presso il MIUR, in qualità di enti di formazione” (p. 23).
  • il percorso formativo “Educare alle differenze di sviluppo sessuale, identità di genere, ruolo, orientamento affettivo sessuale e situazione familiare”, proposto da “Intersexioni”, per il personale educatore e insegnante e realizzato a Vaiano (Prato) nel gennaio 2015 (si può reperire programma ufficiale a questo link). Si legge che “Il percorso mira allo sviluppo di conoscenze, abilità e competenze nell’utilizzo a fini educativi dei più recenti risultati degli studi di genere, dei queer studies e dei family studies”.
  • la favola per bambini “Nei panni di Zaff” (edizioni Fatatrac, 2005). Il libro è stato inserito in diversi progetti alla lettura: ad esempio è stato oggetto di una “lettura animata” ai bambini delle scuole primarie nel progetto “Generare culture non violente”, a Bari nel mese di novembre 2014 (qui il programma ufficiale). Racconta la storia di un bambino “transgender”, che vuole essere una “principessa” e che realizza felicemente il suo desiderio. Leggiamo: “Tutti gli dicevano: Ma Zaff! Tu 6 maschio. Puoi fare il re … ma la principessa proprio no. Le principesse il pisello non ce l’hanno!!”; Zaff: “E va bene, ho il pisello ma che fastidio vi dà? Lo nasconderò ben bene sotto la gonna …”. A un certo punto arriva la principessa “sul pisello”, che consegna il suo vestito a Zaff, dicendogli che potrà essere “la principessa col pisello”.

Chiediamo quindi al MIUR: la promozione delle dottrine LGBT, l’uso a fini educativi dei “queer studies”, l’introduzione di favole per bambini su quanto sia normale e bello il transgenderismo, corrisponde semplicemente alla promozione di “diritti e doveri della persona costituzionalmente garantiti” oppure anche di idee particolari, magari ideologiche, contrarie alle convinzioni della maggior parte delle famiglie italiane?

Infine si consideri che il “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere”, approvato dal Governo lo scorso maggio 2015 in attuazione proprio dell’art. 5 comma 2 della legge 119/2013, al capitolo 5.2. sull’ “Educazione”, fissa come “Obiettivo prioritario [...] quello di educare alla parità e al rispetto delle differenze, in particolare per superare gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell’essere donne e uomini [...] nel rispetto dell’identità di genere, culturale, religiosa, dell’orientamento sessuale [...] mediante l’inserimento di un approccio di genere nella pratica educativa e didattica. Nell’ambito delle “Indicazioni nazionali” per il curricolo della scuola dell’Infanzia (...) Il Governo provvederà dunque ad elaborare un documento di indirizzo che solleciti tutte le istituzioni scolastiche autonome ad una riflessione e ad un approfondimento dei temi legati all’identità di genere e alla prevenzione della discriminazione di genere [...]”.

Rispetto a quest’ultimo documento, formuliamo qualche altra domanda per il MIUR:

– come intende il MIUR, una volta che il “Piano d’azione straordinario” sia entrato in vigore, promuovere un’educazione per “superare stereotipi” che riguardano il “significato dell’essere donne e uomini [...] nel rispetto dell’identità di genere”?

– come interpreta il il MIUR l’ “inserimento di un approccio di genere nella pratica educativa e didattica”?

– come interpreta il MIUR il richiamato “approfondimento dei temi legati all’identità di genere”?

In particolare:

– è ammissibile nelle scuole promuovere iniziative che implicano la non problematicità della transessualità o del transgenderismo? (identità di genere contrastante con il sesso biologico).

– è ammissibile nelle scuole promuovere iniziative che diano per scontata l’assoluta normalità e naturalità di tutti gli orientamenti sessuali (in particolare: omosessualità e bisessualità) o di tutte le identità di genere?

– è ammissibile nelle scuole promuovere iniziative che sostengano la parificazione della famiglia naturale di cui all’art. 29 Cost. ad altri tipi di unione, come le unioni omosessuali o le c.d. “famiglie omogenitoriali”?

Il MIUR non ci risponderà direttamente, ma lo farà attraverso una nuova e probabile interpellanza dell’On. Stefano Borghesi.

Caro MIUR, ci denunci pure. L’aula del Tribunale sarebbe per noi solo un’occasione in più per manifestare i pericoli del gender nelle scuole.

Alessandro Fiore

 

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