24/07/2014

Insegnante lesbica – Facciamo giustizia!

Dopo l’operazione verità sul caso dell’insegnante lesbica, arriva anche un’operazione giustizia.

Nel dibattito di questi giorni si è sentito di tutto fuorché parlare dei principi normativi entro cui la vicenda si incentra: il riconoscimento delle organizzazioni di tendenza.

Vediamo assieme di cosa si parla.

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Sulla vicenda del rapporto di lavoro tra una insegnante di storia dell’arte e la scuola paritaria cattolica Sacro Cuore di Trento è stata già condotta (su questa e altre testate giornalistiche) una necessaria operazione di verità volta a chiarire in sintesi come: a) l’insegnante fosse assunta con contratto a tempo determinato per il periodo 2 settembre 2013 – 30 giugno 2014, corrispondente all’anno scolastico e in conformità con la disciplina nazionale sull’utilizzo del contratto a termine nel settore; b) il contratto fosse giunto a naturale scadenza e per tale motivo il rapporto sia cessato, senza alcuna irrogazione di licenziamento da parte dell’istituto scolastico; c) la decisione della scuola circa l’eventuale rinnovo del contratto (come di quello, secondo le fonti, di circa altri trenta insegnanti) sia differita in prossimità dell’inizio del nuovo anno scolastico, in ragione, come è ovvio, della valutazione delle necessità didattiche in base al numero di iscrizioni; d) durante un colloquio tra la superiora dell’istituto religioso esercente il servizio di istruzione e l’insegnante, successivo alla scadenza del contratto, si sia discusso della condizione personale del docente anche in relazione al suo orientamento (omo)sessuale, in seguito a segnalazioni di soggetti terzi. Sull’esatto tenore del colloquio sono state offerte versioni non coincidenti dalle rispettive parti.

Dopo l’operazione verità, è opportuna anche una operazione “giustizia”, posto che tanto interventi di soggetti istituzionali (come il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini) quanto di soggetti privati (come la FLC-CGIL) mostrano di non cogliere l’esatto inquadramento giuridico della fattispecie (al di là dello svarione sul preteso licenziamento, che, come detto, non ricorre).

In tali interventi sembra infatti del tutto misconosciuta l’esistenza nell’ordinamento giuridico delle “organizzazioni di tendenza”, cioè di enti che perseguono finalità ideali costituzionalmente rilevanti (religiose, politiche, sindacali, educative, culturali) e che nella propria legittima autonomia organizzano risorse umane e materiali nel modo ritenuto necessario al raggiungimento dei propri obiettivi.

Proprio per assicurare una tale possibilità, il diritto del lavoro italiano, conformemente a quello europeo, consente alle organizzazioni di tendenza di esigere dal proprio personale l’adesione al proprio orientamento ideale. Quantomeno, di esigerlo dal personale che svolge mansioni direttamente connesse alle finalità dell’istituto, come quelle di docente in una scuola. Se così non fosse, un partito di sinistra che scoprisse tra i propri dirigenti un militante di estrema destra dovrebbe comunque proseguire il rapporto di lavoro. E un’associazione di industriali che si accorgesse di impiegare una persona che sostiene comitati di base di lavoratori resterebbe del pari vincolata al contratto, con evidenti ripercussioni sulla propria immagine e sul regolare svolgimento dell’attività istituzionale.

Si tratta forse di una ingiusta interferenza nella vita privata delle persone? No. Come la dottrina giuslavorista ha messo in luce, si tratta semplicemente di esigere il diligente adempimento della prestazione oggetto del contratto di lavoro (ex art. 2104 del codice civile). Il che, in una organizzazione  di tendenza, implica la collaborazione del lavoratore con il proprio datore nel perseguimento delle sue finalità ideali, talora anche eticamente sensibili. Insomma, occorre decidere se si vogliano ancora partiti, sindacati, università e scuole religiose, associazioni culturali, o se sia giusto comprometterne de facto l’esistenza, in violazione di fondamentali principi di diritto costituzionale ed internazionale.

Per questo, non solo l’art. 4, l. n. 108/1990, esclude in ogni caso che in tali contesti (se l’attività non è esercitata con scopo di lucro) un licenziamento ingiustificato comporti l’obbligo del datore di lavoro di reintegrare il lavoratore, costringendolo ad una collaborazione non più fruttuosa a causa della compromissione del rapporto.

Ma, vieppiù, l’art. 3, comma 3, d.lgs. n. 216/2003, in tema di contrasto alle discriminazioni sul luogo di lavoro anche per orientamento sessuale, in attuazione della direttiva comunitaria 2000/78 sancisce che “nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza e purché la finalità sia legittima, nell’ambito del rapporto di lavoro o dell’esercizio dell’attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all’handicap, all’età o all’orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività medesima”.

E, con particolare riguardo agli enti religiosi, in base al successivo comma 5 “non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 le differenze di  trattamento basate sulla professione di una determinata religione o di determinate convinzioni personali che siano praticate nell’ambito di enti religiosi o altre organizzazioni pubbliche o private, qualora tale religione o tali convinzioni personali, per la natura delle attività professionali svolte da detti enti o organizzazioni o per il contesto in cui esse sono espletate, costituiscano requisito essenziale, legittimo e giustificato ai fini dello svolgimento delle medesime attività”.

Completa il quadro normativo il comma 4 dell’art. 3, che consente le indagini finalizzate ad accertare le attitudini professionali del prestatore necessarie al corretto adempimento dell’obbligazione lavorativa, coerentemente con quanto è stabilito dall’art. 8 dello Statuto dei lavoratori e con la precisazione che, in tal caso, possono formare oggetto di indagine anche le peculiari convinzioni personali connesse agli scopi fondamentali del datore di lavoro.

Quali conseguenze reca tale assetto normativo per un caso come quello al nostro esame? Che una scuola cattolica, in quanto organizzazione di tendenza con finalità educative coerenti con la morale insegnata dal Magistero della Chiesa cattolica, possa rifiutare un rapporto di lavoro con un soggetto, specie se insegnante, con un orientamento sessuale e convinzioni personali dissonanti. Non vi è chi non riconosca, infatti, come l’aspetto della sessualità sia rilevante non solo in genere nell’ambito socio-religioso (come dimostra l’acceso dibattito sui temi del gender, del matrimonio e della famiglia), ma in particolare in quello scolastico ed educativo.

In definitiva, un ente come la scuola cattolica di Trento: a) può accertare in tale materia le convinzioni del lavoratore; b) può rifiutarsi di stipulare un contratto di lavoro con persona che non condivida le idealità del datore; c) può rifiutarsi di rinnovare un contratto stipulato in precedenza; d) può licenziare il lavoratore in seguito alla sopravvenuta conoscenza della sua condizione personale in contrasto con le proprie finalità. Ma non solo può compiere legittimamente tutto ciò: per onorare gli impegni di cui al contratto di iscrizione alla scuola stipulato con i genitori degli alunni, nel quale è pattuito un preciso indirizzo educativo, simile ente sarà probabilmente di fatto costretto ad evitare o risolvere contratti di lavoro con collaboratori inadatti al ruolo per motivi quali quelli anzidetti.

Si tratta forse di novità? In realtà, sin dal 1972 la Corte costituzionale, con la sentenza n. 195, aveva affermato il diritto di una istituzione universitaria di ispirazione religiosa (nella fattispecie, l’Università Cattolica del Sacro Cuore, nel noto caso Cordero) di risolvere il rapporto di lavoro con un docente privato del nulla osta della Santa Sede a motivo della incompatibilità della sua ideologia con i principi statutari dell’università. E, più di recente, in maniera del tutto analoga si è pronunciata la Corte europea dei diritti dell’uomo con sentenza del 20 ottobre 2009 nel caso Vallauri.

Prima di procedere al linciaggio mediatico di una onesta scuola di provincia, sarebbe dunque opportuno, oltre che accertare i fatti, conoscere cosa prescrive il diritto.

Marco Ferraresi

Ricercatore di Diritto del Lavoro
Università di Pavia,
Presidente Unione Giuristi Cattolici Pavia

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana

 

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