20/04/2014

La piccola Michela, nata a 23 settimane di gestazione

Le complicanze di una maternità, il ricorso ad un cesareo urgente. Il timore di comportare la morte della piccola nel grembo materno da sole 23 settimane. Una scricciolo di 460 grammi, delicata ma viva: è nata Michela.

L’osservazione, i mesi di speranze ed ora la piccola può lasciare l’ospedale ed iniziare la sua vita con mamma e papà.

Questa la storia di Michela, riportata dal Corriere di Como.

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Evento straordinario. Il parto d’urgenza venne deciso dal primario di ostetricia per le condizioni critiche della mamma
La piccola era venuta alla luce il 31 dicembre, è rimasta in ospedale 101 giorni
(a.cam.) Mamma Rosetta, oggi, dovrebbe accarezzarsi il pancione aspettando con impazienza di vedere la sua primogenita, attesa attorno al 26 aprile. La gravidanza, però, non è andata secondo i piani.

La storia di Michela è iniziata ben prima: il 31 dicembre dello scorso anno, dopo sole 23 settimane di gestazione.
Una storia straordinaria, segnata da un’incalcolabile voglia di vivere della bimba, che alla nascita pesava 460 grammi. Una storia capace di sconvolgere ogni statistica.
“Grande” con i suoi due chili e mezzo, oggi Michela ha vinto la sua battaglia per la vita. Dorme, ciuccia, accenna un pianto. Si fa cullare tra le braccia di papà Domenico, che non la lascia un secondo. Aspetta il latte, come qualsiasi altro neonato. A dispetto di quei maledetti numeri che suonavano come una condanna.

«La storia di Michela è davvero rara – conferma il primario di Terapia Intensiva Neonatale del Sant’Anna, Mario Barbarini – La letteratura scientifica riporta che soltanto alcuni bambini giapponesi nati alla 22esima settimana, il limite di sopravvivenza, ce l’hanno fatta, evidentemente per motivi genetici. Nei casi come quello di Michela, solo un bimbo su 10 vive e, di questi, soltanto il 4% non ha complicanze».
A fare la differenza, a mezzogiorno del 31 dicembre dello scorso anno, è stato innanzitutto il primario di Ostetricia del Sant’Anna, Renato Maggi. Rosetta Guarascio, 39 anni, operaia in un’azienda metalmeccanica di Bologna, da qualche mese residente con il marito a Olgiate Comasco, in attesa del suo primo figlio era stata ricoverata per problemi legati alla gravidanza. La donna era monitorata da giorni, ma la situazione è precipitata all’improvviso.
Chiamato d’urgenza in ospedale, il primario ha deciso di intervenire. «La situazione della mamma di Michela era molto grave – ricorda oggi Maggi – Aveva un’infezione in corso, si erano rotte le membrane e l’utero era in condizioni critiche. L’unica possibilità era procedere con un cesareo d’urgenza, pur sapendo quali rischi correva la creatura, visto che la paziente era soltanto alla 23esima settimana di gestazione».
Mamma Rosetta non ricorda quasi nulla di quei momenti. «Mi hanno addormentata, mio marito e i miei genitori hanno vissuto tutta l’angoscia di quei momenti», dice la donna. Il marito, Domenico Pisano, 49 anni, dipendente di un’azienda tessile, fatica a parlare di quegli istanti.
«Ci siamo fidati dei medici – dice – E poi ricordo il momento in cui ho visto mia figlia. Mezz’ora dopo la nascita me l’hanno fatta incontrare. Avrei voluto prenderla in braccio, stringerla forte. E non potevo».
Soltanto 3 settimane dopo Michela è stata dichiarata fuori pericolo. «La bimba ha giocato bene da subito, è la forza che ho visto in lei che mi ha portato ad essere ottimista – dice Barbarini – Prima di poterla considerare fuori pericolo abbiamo atteso che respirasse da sola».
La più piccola bimba mai nata al Sant’Anna è rimasta in ospedale 101 giorni. Accanto a lei sempre mamma e papà e anche nonna Michela, giunta dalla Calabria per assistere figlia e nipotina. L’11 aprile scorso, la bimba è stata finalmente dimessa. «Non so quanto ho pianto di gioia quando ci hanno detto che potevamo portare a casa Michela – dice Rosetta – È così bello stare insieme, a casa. Mia figlia mangia e dorme, come tutti i neonati. Ogni giorno è una grande emozione e voglio davvero ringraziare tutti per quello che hanno fatto per noi». Al Sant’Anna, Michela ha lasciato una seconda famiglia. «Sono esperienze che accadono poche volte nella vita, e con questi bambini e i loro genitori si crea un legame fortissimo», dice la caposala della Tin, Anna Alessi.

 

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