22/10/2015

Matrimonio gay, “diritti” LGBT e il caso umano (Scialpi)

Serve il matrimonio gay per assistere i propri conviventi in ospedale?

Mi chiedo se certa gente sia mai andata ad assistere qualche amico in ospedale.

Nelle esperienze dei più,  per andare a dar da mangiare a qualche ricoverato, a fare qualche nottata – e magari cambiare qualche pannolone: non solo nessuno ha mai messo ostacoli, ma nei nosocomi sono stati ben felici che qualcuno risparmiasse agli infermieri di turno qualche scampanellata.

Maschi o femmine, parenti o conoscenti, ospedali pubblici o cliniche private, nessuno ci risulta abbia mai fatto storie. 

Invece, ai gay, la “legge” impedisce di  assistere i propri fidanzati?

Visti i piagnistei di Scialpi e del marito in tal senso, ci spiega bene come stanno le cose  Giuliano Guzzo sul suo blog.

matrimonio gay_gender_omofobia_bufale_dati_strumentalizzazionePovero Giovanni Scialpi, si trova in ospedale per un intervento ma il “marito” Roberto – riferisce il Corriere.it – «non può assisterlo». Come mai?

«Per la sanità e per lo Stato sono un perfetto sconosciuto» lamenta su internet, chiedendo una rapida approvazione della legge sulle unioni civili, l’uomo a cui sarebbe impedita l’assistenza dell’amato ricoverato. Una vicenda che, se fosse vera in questi termini, potrebbe indignare; tuttavia il condizionale qui è d’obbligo dal momento che un dubbio ci assale: quale sarebbe la Legge dello Stato Italiano che ora sta impedendo a Roberto di assistere Gianni? Nel breve articolo del Corriere.it – stranamente – non si fa riferimento alcuno alla spietata norma in nome della quale una struttura ospedaliera, oggi, potrebbe impedire ad un convivente di stare vicino alla persona amata.

C’è di più: dando un’occhiata a quanto prevede il nostro ordinamento, non solo non si trova la Legge che negherebbe al cantante Scialpi il diritto di farsi assistere dal partner, ma si trovano disposizioni molto chiare rispetto non già alla possibilità bensì all’obbligo di informazione da parte dei medici per eventuali trapianti al convivente (art. 3 L. n. 91 1999), nonché ai permessi retribuiti per decesso o per grave infermità cui un convivente anche dello stesso sesso ha diritto (art. 4 L.n. 53 2000). Ora, possibile che la Legge da un lato obblighi i medici ad interfacciarsi – in casi gravi, come sono i trapianti – coi conviventi e dall’altro cacci questi ultimi fuori dall’ospedale? E i medici dove diamine dovrebbero informare una persona dell’eventuale trapianto del convivente? Al bar? Nel parcheggio del nosocomio? Su Skype? Qualcosa, evidentemente, non torna.

E poiché le Leggi poc’anzi ricordate – in particolare la n.91 del 1999 – sono chiare e individuate, mentre quanto mai misteriosa risulta quella che sciaguratamente impedirebbe al convivente di prestare assistenza ospedaliera al proprio partner, il dubbio che quest’ultima non esista neppure, a questo punto, per un elementare ragionamento logico, viene. Tanto più, dulcis in fundo, che se si va a leggere l’ultimo disegno di legge sulle unioni civili – il cosiddetto Cirinnà bis – laddove questo regolamenta la reciproca assistenza (art. 12) non si rintraccia, neppure qui, l’ombra di una disposizione che sarebbe da abrogare. Insomma, il diabolico divieto che impedirebbe ad un convivente di prestare assistenza all’altro – posto che non si ha notizia di mariti o mogli cui venga intimato, per poter visitare il coniuge, di esibire prima il certificato di matrimonio – sembrerebbe avere un sapore inconfondibile: quello della bufala.

Giuliano Guzzo

Fonte: www.giulianoguzzo.com

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