16/07/2014

Ospedale Sant’Orsola di Bologna – Quella preghiera che dà tanto fastidio

Siamo all’assurdo: in Italia ora come ora tutti possono fare di tutto, senza limiti di ordine morale e di pudore. Siamo abituati, quasi assuefatti, da spettacoli nel mondo reale ed in televisione non propriamente edificanti, ma un gruppo di persone, silenti, disturbano più di quanto non si immagini...

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Non chiedono nulla. Non protestano. Non fanno baccano, anzi, bisbigliano in un angolo. Eppure in qualche modo fanno “rumore”, come la famosa foresta che cresce: in silenzio, ma eccome se cresce... Da venti anni i volontari della Comunità Papa Giovanni XXIII ogni settimana una mattina si ritrovano a recitare il Rosario davanti agli ospedali d’Italia in cui si praticano gli aborti.

Un quarto d’ora di preghiera e via, in punta di piedi, come iniziò a fare il fondatore dell’associazione, don Oreste Benzi. In un’Italia in cui si è “liberi” di tutto e ogni cosa è un “diritto”, pare però che la preghiera sia vista da qualcuno come un atto da censurare: da qualche settimana un gruppetto di contestatori/trici si dà appuntamento davanti all’ospedale Sant’Orsola di Bologna e aggredisce il gruppo di 50/60 persone in preghiera, insultando e cercando di impedire il Rosario.

Un’aggressione da cui la Papa Giovanni XXIII non si lascia però provocare: «Abbiamo deciso che non avremo più un giorno fisso ma settimana per settimana cambieremo – racconta Giovanni Paolo Ramonda, il successore di don Benzi –, perché non vogliamo assolutamente andare a uno scontro su un’iniziativa che a Bologna portiamo avanti da 15 anni senza mai aver avuto problemi, nel rispetto delle norme, con la questura sempre al corrente della nostra preghiera. Sia chiaro che noi continueremo: pregheremo in pubblico davanti agli ospedali come facciamo da anni tutte le settimane alle 7 del mattino, estate e inverno, col caldo e con la neve, perché noi siamo dalla parte delle donne, che abortiscono in quanto lasciate sole».

Lo dimostrano le molte centinaia di bambini che grazie a quella discreta presenza non sono stati abortiti, migliaia di ragazzini le cui madri, contattate attraverso la preghiera davanti alle cliniche, hanno potuto cambiare idea e scegliere di tenere il proprio figlio. «La nostra preghiera si fa incontro – spiega infatti Ramonda – noi non ci limitiamo a dire il Rosario ma offriamo un supporto concreto, uniamo le nostre forze alle loro e, se queste madri vogliono far nascere il bambino, non le abbandoniamo. La lunga esperienza ci ha dimostrato che oltre i due terzi delle donne che erano orientate all’aborto, quando viene loro afferto un valido aiuto, vogliono far nascere il figlio e questo dimostra che l’aborto non era una scelta libera ma di disperazione».

Dalla parte delle donne, dunque, contro chi, nell’indifferenza generale, le spinge verso un’azione che certo rappresenta un dramma per tutti (e un business per pochi): «Circa un quinto delle 573 mamme che solo nel 2013 sono state prese in carico dal nostro Servizio maternità difficile ha denunciato di aver ricevuto pressioni ad abortire»: da parte degli operatori sociosanitari, che dimenticano facilmente ciò che prevede la legge 194 affinché l’aborto resti l’ultima spiaggia dopo aver tentato tutto per salvare quella vita nascente, ma anche da parte del partner, dei genitori, persino del datore di lavoro...

Eppure il manipolo anacronistico di femministe bolognesi da qualche settimana interviene con slogan che sviliscono proprio la figura femminile (e che qui non riportiamo per rispetto della donna), e del suo bambino fanno niente più che un oggetto. «Noi vogliamo ribadire la scelta di don Benzi, stiamo sempre dalla parte del più debole», ricorda Ramonda. E tra tutti il più debole «è il bambino che non può nascere né dire la sua, con il concorso dello Stato, che attraverso la legge 194 ne permette la soppressione.

Come dice papa Francesco nella Evangelii Gaudium, la difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano. E per questo non facciamo guerre, preghiamo: non possiamo? E perché?». Articolo 19 della Costituzione: “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”. Tutto oggi pare essere lecito, dalle nudità pubbliche di un Gay Pride, alle manifestazioni di piazza più scatenate, ai “rave party”... Un Rosario bisbigliato nel nome dell’uomo più piccolo al mondo e senza voce fa davvero tanto rumore? Forse allora è un buon segno.

Lucia Bellaspiga

Fonte: Avvenire

 

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