08/04/2016

Gravidanza, in relazione con sé, con lui, con l’altro

L’esperienza umana di qualsiasi donna in gravidanza è suffragata da indagini scientifiche che vanno sempre più a scandagliare i rapporti complessi e – in definitiva – sempre misteriosi che si instaurano in quei nove mesi.

La scienza decreta sempre più insistentemente la necessità di intensificare il rapporto mamma-figlio-padre, nei mesi della gestazione, per il benessere del futuro bambino.

Al centro c’è senz’altro la donna che si trasforma improvvisamente in madre (e resta madre – di un bambino morto – anche se interrompe la gravidanza con un aborto) e si trova a doversi relazionare con se stessa, col bambino e con l’uomo che è ora padre (e che a dire il vero ci impiega un bel po’ di più a rendersene conto...)

La donna incinta percepisce di solito – anche prima di sapere d’essere incinta – degli “strani” cambiamenti in sé. Per certi versi è come se il suo corpo non le appartenesse più (altro che “lo gestisco io!”): sfugge dal controllo razionale della sua volontà (perfino i gusti cambiano: “Quel formaggio che ho sempre detestato ora mi fa impazzire!”).

E mentre la mamma entra in una più profonda relazione con se stessa, tra mamma e figlio, nel grembo, si costruisce progressivamente un legame biunivoco, psichico e fisico, meraviglioso e complesso, scrive Agnoli su Libertà e Persona. E cita il neonatologo Carlo Bellieni e gli scienziati che descrivono il precocissimo dialogo che si instaura tra l’embrione e la madre fin da subito, anche prima dell’annidamento in utero.La psiche materna reagisce coscientemente e incoscientemente in funzione di quello che è l’essere umano concepito, in particolare dell’identità che possiede”. E dell’incredibile legame fisico e psichico che si crea tra madre e bambino parla anche la letteratura scientifica atea, o agnostica, come “Avere un bambino. Come inzia una vita: dal concepimento alla gravidanza” (Mondadori, Milano, 2002), scritto dal celebre ginecologo dell’Università di Bologna Carlo Flamigni. Egli descrive il bimbo in grembo non come un ospite inerte, ma come uno che “svolge un ruolo attivo nell’andamento della gravidanza, controlla i vari aspetti del suo sviluppo, ed è capace di rispondere agli stimoli sensoriali provenienti dal mondo esterno”. Un soggetto con una sua personalità, cosciente, consapevole, capace di memoria, che è fortemente in relazione non solo con il corpo, ma anche con la psiche materna. Flamigni spiega che la scienza riscontra problemi di sviluppo psicofisico dei bambini quando la gravidanza non è stata serena, la madre l’ha vissuta con ansia o stress eccessivi : “è stato coniato il termine ‘toxic womb’ a testimoniare l’importanza degli stress fisici emotivi e psicologici di – entrambi – i genitori, e in particolare – ovviamente – della madre”.

Non è possibile escludere questi legami, durante una gravidanza. Possono essere vissuti, in qualche caso, con problematicità, magari con rifiuto, ma non possono essere negati. Sono, perciò, perfettamente sconnessi dalla realtà coloro che pretendono di annullare il coinvolgimento della “madre gestazionale”, della “portatrice”, nella pratica dell’utero in affitto.

E anche il padre è (e deve essere) coinvolto: sia perché può instaurare una sorta di interazione comunicativa, attraverso carezze, parole, canzoni, col bambino, sia per il sostegno che può offrire alla donna.

In gravidanza, infatti, sai riscontra “un aumento vertiginoso della  sensibilità affettiva”: “si piange molto di più, ci si arrabbia tremendamente, si è fortemente malinconici… Quello che la natura fa è spostare il baricentro della donna, come avviene fisicamente con la sua pancia, per cui la donna perde la posizione eretta e precipita nell’orbita del bambino, così la donna si avvicina al mondo del bambino, il quale ha una sensibilità estremamente più forte, per quanto protetto dall’alta soglia di stimolo che ci sarà dopo la nascita”. In questo spostarsi del baricentro diventa  fondamentale che ci sia un appoggio e che il maschio, il compagno, sia il custode dell’esperienza perché la donna possa abbandonarsi al contatto col suo bambino”.

Queste dinamiche interattive costituiscono la famiglia (quella vera). La natura le predispone, la scienza le studia, la società le coltiva (e la legge pone rimedio come può laddove le persone le ostacolino), ma la cultura della morte, il relativismo egocentrico del “diritto al piacere” – anche a discapito delle persone – stanno facendo del tutto per negarle e distruggerle.

Redazione

Fonte: Libertà&Persona

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