23/05/2013

Infertilità: un lutto da elaborare

Intervista alla Dott.ssa Benedetta  Foà, psicologa clinica, counselour specializzata in post-aborto, psicoterapeuta in formazione presso la S.I.S.P.I., autrice di vari articoli sulla sindrome post-abortiva e sull’elaborazione del lutto nel post-aborto, coautrice del libro “Maternità Interrotte – Le conseguenze psichiche dell’IVG” (a cura di Cantelmi, Cacace, Pittino, ed. San Paolo)

– Dottoressa Foà, che differenza c’è tra sterilità ed infertilità?

Dott.ssa Foà: Sono due concetti differenti. La sterilità è l’incapacità di concepire e l’infertilità l’impossibilità di portare a termine la gravidanza. Questa differenza non è solo concettuale perchè gli studi effettuati per conoscere  cause e trattamenti risolutori sono differenti. Non è lo stessa cosa parlare di una coppia con impossibilità a concepire o di una coppia che concepisce senza difficoltà ma non riesce a portare a termine una gravidanza.
L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), relativamente ai concetti di sterilità ed infertilità,  ha stabilito una terminologia che si rifà a riferimenti temporali precisi:
•    sterilità primaria:  mancato concepimento per un periodo di due anni nonostante la regolarità dei rapporti sessuali;
•    sterilità secondaria:  impossibilità di concepire un altro figlio dopo una precedente gravidanza, nonostante la regolarità dei rapporti sessuali per due anni;
•    infertilità:  situazione di una donna che arriva ad avere una gravidanza ma non riesce a portarla a termine.
L’infertilità, è dunque l’incapacità di portare a termine una gravidanza in una donna in grado di concepire, per cui la donna può rimanere gravida anche più volte ma non riesce a portare a termine la gravidanza. Le cause possono essere sia di tipo organico che psicologico.
L’infertilità è considerata dall’OMS una patologia e in quanto tale ha delle possibilità di cura.

  –  Cosa può significare per una donna il fatto di non avere figli?

Dott.ssa Foà: La problematica della sterilità/infertilità e quindi della mancata capacità di riprodursi è sempre esistita ed è stata da sempre vissuta dalla donna con vergogna, come un castigo. Ne troviamo accenni nei miti e anche nella Bibbia, dove la sterilità è considerata una punizione divina. Nell’Antico Testamento  sono citate molte donne che, non potendo avere un figlio, lo “strappano” al cielo facendo preghiere, suppliche e/o pellegrinaggi. Nel Nuovo Testamento è riportato il caso di Elisabetta, cugina di Maria Santissima, la quale rimane gravida in età avanzata. Essa era da tutti considerata sterile e per questo si sentiva disonorata. Elisabetta si nasconde per portare avanti la gravidanza perchè si vergogna di essere  diventata madre in tarda età (Lc 1, 24-25).
Oggi il desiderio di un figlio, per quanto sia un evento naturale, è sottoposto a grandi pressioni sociali e culturali, riempiendosi di significati, valori e simbologie che di naturale hanno sempre meno e  che sempre più  rispecchiano l’evoluzione della società. E’ anche per questo che, generalmente, è proprio il sesso femminile quello che soffre maggiormente nel non riuscire a procreare, da una parte per i retaggi storici, dall’altra perché è la donna che vive appieno la maternità in tutti i suoi aspetti fisici e psicologici. Il desiderio di procreare in una coppia desiderosa di figli appartiene ad entrambi i sessi, ma la donna appare quella che patisce di più nella situazione di infecondità.
Il desiderio di avere un bambino, come tutti i desideri, viene da lontano: è legato ai nostri vissuti dell’infanzia ed è stato preparato da bisogni e fantasie precoci ed inconsci. La non realizzazione di  questo sogno può essere fonte di frustrazione, stress e malessere. Questo in parte spiega l’attuale boom delle fecondazioni in vitro.

– Quali conseguenze vi possono essere a livello psicologico, relazionale e sociale in una coppia che vive la condizione di infertilità?   

Dott.ssa Foà: Il fenomeno dell’infertilità, secondo le diverse stime disponibili riguarda circa il 15-20% delle coppie. Le cause dell’infertilità, sia femminile che maschile, sono numerose e di diversa natura. Il numero di donne che non riesce a concepire e/o a portare a termine una gravidanza è sempre maggiore. Per quanto ci possano essere tante ragioni di natura biologica (stile di vita,  ricerca del primo figlio in età tardiva, aborti precedenti, uso di droghe, abuso di alcool, fumo,  condizioni lavorative, inquinamento), altrettante sono quelle di natura psicologica. La condizione di infertilità della coppia porta a vivere esperienze psicologiche, relazionali e sociali molto complesse e spesso legate ad un vissuto di disagio emotivo. Questo disagio è esperito in modo diverso a seconda della personalità della coppia: quando la maternità riveste un ruolo non solo di completezza personale ma anche un ruolo sociale, esso può essere molto forte. Per molte donne non avere figli può avere un significato di fallimento, di svilimento fino all’abbassamento dell’autostima. Se la donna trova la sua identità solo come madre, e non riesce a vedere in sè valore altro, allora la situazione psicologica può prendere percorsi tortuosi e dolorosi.
Anche l’uomo soffre per la mancata paternità, seppure in modo diverso. Oggi l’uomo è sempre più consapevole del suo ruolo e dell’importanza della sua presenza per i figli, anche se è vero che egli comprende appieno il suo ruolo alla nascita del figlio. Questo passaggio per la madre solitamente inizia prima. La mancanza del figlio atteso non  esclude l’uomo dallo stesso dolore che vive la donna; il modo di reagire alla perdita può essere vissuto però diversamente, per esempio nella tendenza a lavorare di più e a parlare meno con la partner.
L’infertilità è un aspetto della vita che non è controllabile; alla sua scoperta si possono verificare tutta una serie di emozioni: sorpresa, negazione, rabbia, isolamento, vergogna, senso di colpa fino alla rassegnazione. La mancata capacità di elaborare il lutto, in questo caso del non essere fertili, può portare alla depressione e in alcuni casi limite anche allo scioglimento della coppia. A questo proposito il sociologo Alberoni afferma che a volte figlio viene vissuto inconsapevolmente come un prodotto di pregio, un lusso, un investimento affettivo ed emotivo che deve colmare un vuoto e spiega che  quel vuoto, troppo spesso, è in realtà un vuoto di coppia: si vuole un figlio e si fa un  figlio per tenere in vita un rapporto che altrimenti si esaurirebbe.

– Alcuni studi inglesi ed americani affermano che dopo un aborto volontario è più difficile portare a termine le successive gravidanze per il verificarsi di aborti spontanei ma anche a causa di infertilità. Quali ne sono le ragioni?

Dott.ssa Foà: Si, questi studi inglesi e americani (cfr.: www.unchioce.info/resources.htm) affermano che dopo un aborto volontario è più facile che la donna non riesca a portare a termine le successive gravidanze. Ne risultano  aborti spontanei o infecondità. Uno studio pubblicato sul British Journal of Obstetric and Gynecology (2006) afferma che nelle donne che hanno abortito volontariamente si registra il 60% in più di possibilità di un aborto spontaneo.
L’infertilità dopo un aborto procurato è dovuta a ragioni diverse: organiche o psicologiche. L’utero può essere stato danneggiato durante l’intervento abortivo e in conseguenza a ciò la donna non riesce a portare a termine successive gravidanze desiderate.  Ma l’infertilità può essere secondaria, cioè ci possono essere disagi di ordine psicologico per cui la donna non  resta gravida o non riesce a portare avanti la gravidanza anche se a livello organico non ci sono problemi. Succede cioè che donne e uomini riproduttivamente sani non riescano a generare.

– Cosa si può fare nei casi di infertilità secondaria?

Dott.ssa Foà: Il lavoro dello psicologo in questi casi può essere fondamentale. Elaborare il lutto di un figlio perso in precedenza può essere la condizione necessaria per poter poi affrontare al meglio un’altra gravidanza. Elaborare i vari traumi di vita legati, anche inconsciamente, alla figura materna  diventa in questi casi un passo necessario per diventare madri. Legami patologici tra madri e figlie sono spesso alla base di situazioni invischiate che portano alla non accettazione della propria vita e di conseguenza di quella degli altri. Ho notato che madri incapaci di dare un sostegno affettivo sufficientemente buono, “alla Winnicott”, sono generatrici di figlie psicologicamente fragili che a loro volta faticano a dare la vita. Un lavoro di counseling con l’utilizzo dell’immaginario può portare in breve tempo allo sblocco di problemi profondi quanto inconsci. Le Esperienze Immaginative (Passerini) mirate possono portare la donna, ma anche l’uomo al superamento di blocchi e/o traumi psichici legati alla maternità/paternità in modo da poterli  affrontare con successo. Il poter dare un nome al dolore e verbalizzare vissuti spesso mai detti può far migliorare lo stato di salute in generale e quindi aumentare la stima di sè, così da ritornare a vivere meglio, se non addirittura, come avviene spesso, ad eliminare il problema infertilità.

di Anna Fusina

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