28/10/2018

Aborto e contraccezione: perché si odia il proprio corpo?

L’aborto e la contraccezione corrispondono all’odio del proprio corpo.

Si tratta di un’affermazione forte, ma che poggia su un solido assunto: siamo fatti di anima e corpo, che sono distinti ma tuttavia strettamente connessi. L’anima ha bisogno del corpo per esprimersi nel mondo, è una parte essenziale dell’essere persone.

Tuttavia talvolta capita che si operi una scissione tra queste due componenti, e questo avviene quando si prende in odio il proprio corpo, quando lo si violenta, oppure quando si vive considerando solo il proprio corpo... e così si divide se stessi da se stessi, in una lacerazione che non può che provocare sofferenza.

Proviamo a traslare tutto questo sulla contraccezione e sull’aborto.

Nel primo caso, si decide scientemente di mettere una barriera tra la donazione di sé, della propria anima, che si fa al proprio coniuge [la scelta del termine è voluta, in quanto solo nel matrimonio può sussistere una donazione totale, ndR] e la donazione totale anche del proprio corpo, che – nella donna – contempla anche una possibile apertura alla vita. Questo, è evidente, trasmette un messaggio di rottura al partner: «Mi dono a te, ma solo in parte», oppure «Prendo te, ma solo in parte, la tua fertilità non m’interessa». Afferma Peter Kwasniewski in proposito: «Il linguaggio in cui una coppia si parla è un linguaggio di mezze verità ed evasioni disperate, educatamente coperte da convenzioni, ma riducibili all’interesse personale, e come abbiamo visto, nemmeno l’interesse dell’intero sé».

Naturalmente, in un rapporto occasionale e non fondato su una relazione tra i due partner, può avvenire anche l’opposto: si “condivide” il corpo, ricercando la soddisfazione di un bisogno pulsionale, ma senza che vi sia un’integrazione con l’anima... e in questo caso risulta ancora più evidente come sia impossibile operare una divisione all’interno di noi: nessuno potrà infatti mai dire che l’aver avuto un rapporto sessuale lo ha lasciato indifferente, non l’ha toccato nell’anima, appunto.

Per quanto riguarda invece l’aborto, afferma ancora Kwasniewski, diventa ancora peggio perché «qui l’odio per la propria carne viene amplificato perché include la carne (e l’anima) di un’altra persona. Cercare di liberarsi della carne di un bambino è odiare il bambino stesso, poiché il corpo è la persona nel suo aspetto materiale. Così la guerra civile iniziata nella persona in cui il desiderio disordinato ha creato l’odio verso se stessa si estende a comprendere la persona con cui lui o lei mente e tutte le persone implicate in questa relazione, che è naturalmente feconda e deve essere violentemente attaccata per precludere o recidere il frutto».

Inoltre, fatto da non trascurare, quando una donna decide di abortire, non si tiene mai debitamente conto dell’unione tra l’anima e il corpo: un corpo che si è modificato per accogliere la gravidanza e che, improvvisamente, vede tutto finire per cause esterne... il che può portare a conseguenze non indifferenti; e un’anima vocata alla maternità, che fa proprio l’istinto materno insito nella parte più ancestrale del cervello di ogni donna, e che subisce conseguenze psicologiche anche gravi – e magari che non emergono nell’immediato, bensì dopo anni – se il bambino viene ucciso.

Giulia Tanel

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