23/06/2018

Aborto e scuola: dire la verità è indottrinamento?

L’aborto è innegabilmente un tema “tabù”: le donne che hanno vissuto un aborto spontaneo, tendono a non parlarne (per il dolore, per la vergogna di esserne la causa...) e così facendo spesso non si mettono nella condizione di elaborare il lutto, magari anche con il supporto di associazioni dedicate (come La Vigna di Rachele) o di terapeuti; coloro che decidono per un aborto volontario, invece, spesso lo fanno di nascosto, talvolta non informando nessuno.

Ma l’aborto è un tema “tabù” anche perché è un tema molto dibattuto e, almeno in parte, esce dai consueti schieramenti ideologici: per essere contrari non è necessario essere persone credenti, così come sul tema appaiono sfumate le fazioni politiche e anche le differenze di età. È il classico argomento del quale è meglio non parlare, come la politica e il calcio.

Tuttavia, è altrettanto innegabile che di aborto non si può non parlare: è un tema che interessa l’intera società, perché tutti pagano (e non solo in senso economico) per ogni singolo bambino abortito. Ecco perché, a differenza della politica e del calcio, quello dell’aborto è un argomento che è giusto trattare anche sui banchi di scuola.

Nelle ore di biologia, per chiarire ai ragazzi gli aspetti “tecnici” del concepimento e per mostrare loro, sulla base di dati scientificamente accertati e di immagini ecografie ormai facilmente reperibili, la formazione e lo sviluppo di una nuova vita, fin dal lampo di luce che si sprigiona nel momento del concepimento e dalle primissime fasi di sviluppo. Ma anche nelle ore di religione (Irc), perché è bene discutere con gli alunni che se ne avvalgono del valore di ogni singola vita, fin dal concepimento. Sottolineiamo: con gli alunni che se ne avvalgono, non essendo questa una materia obbligatoria.

Appare quindi veramente pretestuoso lo scandalo espresso dal Manifesto in un articolo intitolato “Indottrinamento: disegnate uno spot contro l’aborto”. Nell’articolo si racconta che, ad aprile, una classe delle scuole medie di Ravenna è stata invitata dall’insegnante di religione a svolgere un compito in classe secondo questa indicazione: «Disegnate uno spot, uno slogan, un logo per il Movimento per la vita».

L’articolista avanza quindi delle obiezioni alla decisione dell’insegnante, che qui riportiamo con qualche breve commento:

  • «A 13 e 14 anni si è pronti a parlare di qualsiasi cosa, ma conta tantissimo come lo si fa. Educare non significa indottrinare o fare il lavaggio del cervello, ma dare ai giovani gli strumenti per comprendere, partendo dall’analisi delle situazioni, anziché dalle opinioni [...]». Alla luce di questo, secondo la giornalista, andrebbe spiegata ai giovani la 194 (anche l’art. 2, comma d, dove si legge che bisognerebbe provare «a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza»?), così come bisognerebbe parlare dei dati degli aborti clandestini (quelli gonfiati dalla propaganda abortista, o quelli reali?), della questione dell’autodeterminazione della donna (il bambino è forse come una mano, una parte del corpo della donna?)...
  • «Bisognerebbe raccontargli che cosa succede in proposito nel resto del mondo e dell’Europa». Qui viene citata la Polonia, dove – a leggere Il Manifesto – pare che le donne protestino notte e giorno per avere diritto ad abortire (ma, anche qui, non si fanno i conti con i numeri... e nemmeno con il tasso di mortalità materna, tra i più bassi al mondo); e anche l’Irlanda, che recentemente ha approvato l’aborto: ma delle influenze internazionali, guidate dal magnate Soros, e – forse – dei brogli cosa si può dire ai giovani? Meglio tacere e far finta di nulla?
  • «Bisognerebbe poi spiegare che da quando è in vigore la 194, in Italia gli aborti sono in costante calo». Come mai sono in calo? Non sarà forse l’influenza delle pillole varie (del giorno dopo, dei 5 giorni dopo), che possono essere potenzialmente abortive ma che non vengono conteggiate? E il fatto che ci siano meno persone in età fertile non ha forse nessuna incidenza?
  • «Infine bisognerebbe avvicinare gli allievi alle ragioni per cui una donna abortisce, spiegare che quella scelta è così personale e spesso determinata da situazioni così drammatiche che nessuno, tanto meno i maschi, deve permettersi di giudicare, condannare, decidere al posto della donna». Ancora una volta torna il mito del maschio oppressore (perché il padre non ha alcun diritto su suo figlio? Perché nessuno parla mai della sofferenza che anche i padri provano per l’aborto?). E poi il giudizio che penderebbe sulla donna che abortisce: perché, informare una donna su quale sia la reale condizione di suo figlio – che, tanto per dire, a tre settimane dal concepimento ha un cuore che batte -,  su quali siano le conseguenze dell’aborto sia sotto il profilo fisico, sia psicologico e sulle possibilità alternative, come il non riconoscimento del figlio alla nascita per darlo in adozione è forse un giudizio? Non sono forse modi per consentire alla donna di operare una scelta più consapevole?

Concludiamo riportando come, purtroppo, siano molte le donne che ci scrivono per raccontarci la loro sofferenza legata a un aborto, che non si lenisce neanche negli anni, e per dirci di proseguire nella campagna d’informazione, perché se forse avessero saputo alcune cose ora loro figlio sarebbe vivo...

Qual è dunque l’indottrinamento? Quello di un’insegnante di religione che, legittimamente, porta i suoi studenti a riflettere su un tema delicato come quello del valore della vita, o quello di chi vorrebbe propagandare l’aborto a suon di fake news? Al lettore la risposta.

Teresa Moro

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