29/07/2018

Aborto: la china scivolosa dell’America Latina

In America Latina, nello specifico in Argentina e in Cile, la discussione sull’aborto continua a tenere banco: l’avanzare dell’estate non pare infatti incidere, data l’importanza del tema in esame. È giusto depenalizzare l’aborto? Perché una donna dovrebbe essere “costretta” a portare a termine la gravidanza? Il bambino è un oggetto oppure un soggetto di diritti?

Vediamo quindi qual è la situazione.

Aborto: la situazione in Argentina

Da un lato abbiamo l’Argentina, dove l’8 agosto il Senato sarà chiamato a pronunciarsi circa l’approvazione definitiva della nuova legge che consentirebbe l’aborto fino alla 14esima settimana, dopo che la Camera ha già dato il suo parere – per quanto risicato – positivo.

In vista di questo importante voto, dunque, la chiesa argentina è tornata a far sentire la propria voce, all’insegna dello slogan «Tutta la vita vale». In una nota congiunta diramata dalle Commissioni episcopali per i laici e famiglia, Comunicazioni sociali, Liturgia e Pastorale della salute si legge: «Vogliamo assumerci le sfide della vita ferita e rinnovare la nostra scelta di custodirla, difenderla e servirla, cercando nuovi strumenti pastorali che esprimano l’impegno della Chiesa».

I fedeli vengono quindi inviati a digiunare e a pregare e si chiede anche a tutte le chiese di celebrare una Santa Messa per la vita e di promuovere l’adorazione eucaristica. Nel contempo, i prelati non escludono la possibilità – e quindi l’opportunità – di dare vita a manifestazioni pubbliche, come tante ce ne sono state in questi ultimi mesi: l’aborto è un omicidio la cui responsabilità ricade su tutta la società, quindi non è solamente una “questione privata”, come invece vorrebbero far credere i fautori della cultura della morte, nel nome di un’autodeterminazione che guarda solo alla donna, tralasciando completamente l’altro soggetto coinvolto, il bambino.

Aborto: la situazione in Cile

Sull’onda di quanto sta avvenendo in Argentina, anche il Cile ha cominciato a interrogarsi circa una possibile depenalizzazione dell’aborto, che ad oggi – in virtù della decisione presa nel 1989, sotto Michelle Bachelet – è possibile solamente in tre casi: quando vi è un rischio di vita della madre, quando il bambino presenta delle malformazioni e in caso di stupro.

Questa situazione comporta – denunciano le femministe, appigliandosi ai soliti cliché triti e ritriti a ogni latitudine rispetto al ricorso all’aborto clandestino e al venir meno del diritto di autodeterminazione delle donne – che “solamente” il 3% delle donne possono accedere all’aborto «mentre il restante 97% delle donne ricorre ad aborti clandestini»

Per combattere questo statu quo, le femministe hanno quindi organizzato una manifestazione a Santiago del Cile, all’insegna del colore verde già usato dalle “compagne” argentine. Nel corso del corteo tre donne sono rimaste ferite in maniera lieve.

«Aborto libero», chiedono le femministe attraverso i loro striscioni, dicendo di essere dalla parte delle donne. Ignorano completamente il fatto che l’aborto ha importanti conseguenze sulla salute fisica e psicologica delle donne (firma qui la petizione di ProVita per una corretta informazione in tal senso) e che tra gli esseri umani abortiti ci sono anche delle piccole donne; nel contempo, così facendo negano in principio la vocazione femminile alla maternità, il che ha una portata enorme sui singoli e sulla collettività.

La speranza è che l’America Latina, di fronte a queste pressioni, sappia ascoltarsi e tenere alta la propria identità di popolo radicato nel valore della vita. Non è facile, certo, ma non è impossibile.

Teresa Moro

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